Un lavoro complicato ma indipensabile quello svolto da questa start up, che mira a sconfiggere il caporalato ascoltando le esigenze delle imprese agricole
Il caporalato è una delle piaghe più vergognose che affligge il paese, alimentato negli ultimi anni dal flusso continuo di immigrati irregolari che vengono impiegati per lavori pesanti, generalmente nei campi, in condizioni disumane.
Per combattere questa emergenza, ma anche per far emergere forme meno gravi ma comunque sbagliate di lavoro nero e “grigio”, è nata la start up Humus, che ha messo in comunicazione il mondo delle imprese agricole ed il terzo settore.
La start up, nata dall’idea di Claudio Naviglia (Ceo), Elena Elia (Marketing e Comunicazione) e Luca Barraco(Account Manager), si propone di ascoltare le esigenze delle imprese agricole e mettere loro a disposizione gli strumenti migliori per ottenere lavoro qualificato a prezzo di mercato, tutelando nel frattempo le risorse.Il lavoro di Humus è di matching fra domanda ed offerta di lavoro, ma anche di fornitura di manodopera formata e di servizi che sbrighino la burocrazia legata all’assunzione. La proposta per abbattere i costi della manodopera è il Job sharing (o contratto di lavoro ripartito).
Nello stesso tempo, Humus si pone come interlocutore nei confronti del terzo settore, per tutelare i migranti lavoratori e fornire anche a loro strumenti per un inserimento lavorativo sostenibile e regolare.
La tematica è complessa e le problematiche potenzialmente infinite: è un lavoro socialmente importantissimo, che ci auguriamo venga sostenuto anche a livello pubblico, per tutelare imprese, lavoratori e lo stesso fisco.
Humus è una delle 4 social impact startup accelerate nel progetto SocialFare e selezionate attraverso la call Foundamenta: è nata lo scorso anno, nel cuneese, dall’incontro tra l’Associazione MiCò, che lavora da anni per l’inclusione dei migranti, e la Banda Valle Grana, una rete di aziende agricole del posto.
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