Un grande problema ambientale è il petrolio riversato negli oceani ma una nuova spugna è in grado di assorbirlo purificando le acquee
La perforazione e l’estrazione del petrolio sotto il fondo del mare producono ogni anno 100 miliardi di barili di acque reflue contaminate. Ciò provoca il rilascio di minuscole goccioline di petrolio nell’acqua circostante. La maggior parte degli sforzi per rimuovere il petrolio dall’acqua si concentra sulla rimozione di grosse chiazze da fuoriuscite industriali. Ma gli stessi approcci non sono adatti per rimuovere minuscole goccioline superficiali. Invece, gli scienziati stanno cercando nuove strategie per la purificazione delle acquee
Ora, i ricercatori dell’Università di Toronto (U of T) in Canada e dell’Imperial College di Londra nel Regno Unito hanno sviluppato una spugna che rimuove oltre il 90% delle microgocce di olio dalle acque reflue entro 10 minuti. Dopo aver catturato il petrolio dalle acque reflue, la spugna può essere trattata con un solvente, per poi rilasciarlo e pronto per il riutilizzo.
Una spugna promettente ma problematica
La nuova spugna migliora una versione precedente, che l’autore principale Pavani Cherukupally, sviluppatò durante il suo dottorato presso l’Università di Toronto. La spugna assorbiva il 95% degli olii impiegando però 3 ore, molto più di quanto sarebbe utile per l’industria.
Anche l’acidità e l’alcalinità rappresentavano un problema, poiché il pH delle acque reflue contaminate determinava il funzionamento della spugna.
“Il pH ottimale per il nostro sistema era 5,6, ma le acque reflue reali possono variare in pH da 4 a 10. Quando siamo arrivati al vertice di quella scala, abbiamo visto la rimozione dell’olio diminuire in modo significativo, fino a solo il sei o sette per cento”.
ha affermato Cherukupally.
Ora, Cherukupally, insieme ai colleghi della U of T e dell’Imperial, ha modificato chimicamente la spugna per essere di potenziale utilizzo per l’industria. Come riportano i ricercatori in un articolo su Nature Sustainability, la nuova spugna funziona più velocemente e su un intervallo di pH molto più ampio.
Per creare la spugna originale, Cherukupally ha utilizzato delle normali schiume poliuretaniche, simili a quelle che si trovano nei cuscini del divano, per separare minuscole goccioline di olio dalle acque reflue. Il team ha accuratamente ottimizzato la dimensione dei pori, la chimica della superficie e l’area della superficie di queste schiume per creare una spugna che attrae e cattura le goccioline di olio – un processo noto come “adsorbimento” – lasciando fluire l’acqua.
Per migliorare le proprietà della spugna nel nuovo studio, il team di Cherukupally ha lavorato con i chimici U of T per aggiungere minuscole particelle di un materiale noto come silicio nanocristallino alle superfici della schiuma. Ciò ha fornito un migliore controllo sulla superficie della spugna e sulla chimica della superficie, migliorando la sua capacità di catturare e trattenere le goccioline di olio.
Un’arma multiuso contro l’inquinamento acquatico
“Si tratta di selezionare strategicamente le caratteristiche dei pori e delle loro superfici. Le spugne commerciali hanno già minuscoli pori per catturare minuscole goccioline. Le spugne di poliuretano sono realizzate con prodotti petrolchimici, quindi hanno già gruppi chimici che le rendono brave a catturare le goccioline. Le attuali strategie per la pulizia delle fuoriuscite di petrolio si concentrano sulla marea nera galleggiante, ma mancano le microgocce che si formano nell’acqua”,
ha detto la coautrice Amy Bilton, professoressa alla U of T.
“Anche se la nostra spugna è stata progettata per le acque reflue industriali , adattarlo per l’acqua dolce o le condizioni marine potrebbe aiutare a ridurre la contaminazione ambientale da future fuoriuscite “.
Inoltre Cherukupally indagherà con Huw Williams dell’Imperial le capacità della spugna per la rimozione dei batteri dall’acqua salata. Un ulteriore obbiettivo sarà utilizzare le spugne per combattere la contaminazione da industrie del gas, minerarie e tessili. Il grande desiderio dei ricercatori è di rendere un giorno questa tecnologia accessibile ai paesi in via di sviluppo che più di tutti necessitano di fonti d’acqua potabile.
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