Trilioni di minuscoli frammenti di plastica sono a galla nei nostri oceani ma rappresentano solo l’1% del totale dei rifiuti di plastica scaricati in mare. Cosa succede al resto? Gli scienziati hanno suggerito che alcuni dei rifiuti mancanti potrebbero essere nutrimento per la fauna marina o confondersi con la materia organica e affondare nel fondo dell’oceano. Tuttavia un nuovo studio suggerisce che la luce solare accelleri il processo di scomposizione della plastica in frammenti più piccoli [Zhu et al., Journal of Hazardous Materials 383 (2020)].
“Volevamo sapere cosa influenza il destino delle microplastiche nell’oceano”,
afferma Aron Stubbins della Northeastern University, che ha guidato il lavoro con Daoji Li della East China Normal University e colleghi della Florida Atlantic University.
“Perché il 98% di tutta la plastica galleggiante rilasciata nell’oceano scompare ogni anno?”
Le indagini sulla decomposizione della plastica
I ricercatori hanno prelevato campioni dal Pacifico settentrionale e creato i propri rifiuti di microplastica da contenitori di prodotti di consumo comuni. Entrambi i tipi di microplastica sono stati fatti galleggiare sull’acqua di mare in un pallone ed esposti alla luce solare simulata in laboratorio. La luce solare ossida la plastica, scomponendo i polimeri in molecole organiche altamente solubili chiamate oligomeri.
“I nostri risultati sono il primo rapporto sulla foto-solubilità di una vasta gamma di materie plastiche”
sottolinea Stubbins.
“La luce solare rimuove la plastica più rapidamente del previsto. Infatti, dimostriamo che la luce solare può rimuovere le microplastiche di polistirene espanso dall’oceano in mesi o anni, il che potrebbe spiegare perché non troviamo polistirene nelle acque superficiali dell’oceano aperto “.
La velocità con cui le plastiche si degradano dipende dalla loro fotoreattività. Il polistirolo, che si dissolve rapidamente, possiede gruppi chimici chiamati aromatici che assorbono la luce solare. Altri tipi di plastica non aromatica, come il polipropilene e il polietilene, impiegano molto più tempo – da anni a decenni – per dissolversi.
La necessità di ulteriori sforzi
Un altro problema che potrebbe insorgere è la morte dei batteri presenti nell’oceano. Infatti essi potrebbero iniziare ad intendere come nutrimento il materiale prodotto dalla decomposizione della plastica. Dai test effettuati che almeno il polietilene provaca una sorta di inibizione dei batteri, perciò saranno necessari ulteriori studi su altri tipi di plastiche.
Con i finanziamenti della National Science Foundation, Stubbins e Kara Lavender of the Sea Education Association i ricercatori stanno lavorando a questo problema e migliorando le loro stime sulla velocità con cui le diverse dimensioni e sostanze chimiche della plastica si fotodegradano in mare.
“Se riusciamo a smettere di scaricare la plastica nell’oceano, i polimeri che galleggiano scompariranno nel giro di decenni / secoli“,
afferma Stubbins.
“Idealmente, dovremmo smettere di usare articoli in plastica usa e getta non essenziali e assicurarci che i rifiuti siano gestiti correttamente quando devono essere prodotti”.
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