L’effetto Trump: le aziende frenano su inclusione e green economy

L’onda lunga del ritorno di Donald Trump sulla scena politica americana sta avendo effetti tangibili non solo nel dibattito politico, ma anche nelle strategie delle grandi aziende, soprattutto per quanto riguarda le politiche di inclusività e sostenibilità. Negli ultimi anni, molte corporation avevano fatto della diversità e dell’inclusione un pilastro delle loro strategie di branding e gestione interna: ad oggi abbiamo avuto conferma di come si trattasse di puro marketing, dal momento che l’inversione di rotta politica sta comportando una conseguente inversione di rotta anche su questi aspetti.

Già nel corso della sua prima presidenza, Trump aveva ridimensionato le normative ambientali e criticato le politiche aziendali che promuovevano la diversità e l’inclusione, accusandole di essere parte di una “cultura woke” dannosa per l’economia americana, ed ora, nel corso del suo secondo mandato, sta dando massiccio seguito a queste convinzioni.

Con un effetto a cascata, molti i colossi americani hanno ridimensionato i loro dipartimenti di diversità, equità e inclusione (DEI), citando ragioni economiche. Allo stesso tempo, aziende del settore tecnologico e finanziario, che negli anni precedenti avevano promosso attivamente politiche di inclusione, stanno rivedendo le loro strategie per evitare di trovarsi nel mirino di una possibile amministrazione ostile.

Trump porta l’America fuori dagli accordi di Parigi

Ma il fenomeno non riguarda solo la sfera sociale. Anche sul fronte della sostenibilità ambientale si registrano segnali di arretramento. Già durante la prima presidenza Trump gli Stati Uniti erano usciti dagli Accordi di Parigi, che ricordiamo sono una serie di regole che i paesi industrializzati si sono dati per tentare di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2°C e per circoscriverlo a 1,5°C al fine di evitare le conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico.

Il ritiro degli USA dagli Accordi era uno dei punti fermi della campagna elettorale e quindi, anche in questo secondo mandato, Donald Trump ha firmato subito, fra i primi provvedimenti, la notifica all’ONU di questa decisione. Una decisione che, secondo molti esperti, ha rappresentato un grave passo indietro nella lotta contro il cambiamento climatico.

Silvestrini, Kyoto club: “Le rinnovabili crescono”

A questo proposito, Gianni Silvestrini, Direttore scientifico di Kyoto Club, ha dichiarato:

“L’amministrazione Trump ha preso una decisione miope e pericolosa nel ritirarsi dagli Accordi di Parigi, ignorando una realtà incontrovertibile: l’emergenza climatica è una crisi globale che richiede una risposta globale. Nonostante questa scelta regressiva, il mercato delle energie rinnovabili continua a crescere senza sosta, a dimostrazione che il futuro è nelle mani della sostenibilità e dell’innovazione: secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia, si registrerà nei prossimi sei anni una crescita delle fonti pulite più elevata di quasi tre volte rispetto al periodo 2017-2023. Inoltre, numerose città e stati negli Stati Uniti hanno chiarito che, nonostante le politiche federali, continueranno a rispettare l’Accordo di Parigi, rimanendo così fedeli all’impegno di proteggere il nostro pianeta per le generazioni future. A guidare questa transizione climatica globale sarà la Cina, che ha già investito enormemente nelle energie rinnovabili. Nel 2024, il paese ha superato i 500 GW di capacità solare e eolica combinata, e si prevede che continuerà a dominare il mercato delle rinnovabili, con un ulteriore e notevole incremento entro i prossimi anni.”

Le parole di Silvestrini mettono in luce un dato fondamentale: mentre alcune aziende e governi si ritirano da impegni ambientali per opportunismo politico, il mercato delle energie rinnovabili continua la sua espansione, trainato da potenze come la Cina e da stati americani che intendono mantenere gli obiettivi climatici nonostante le incertezze politiche federali.

L’eventualità di un secondo mandato Trump preoccupa molti attori economici e sociali, poiché potrebbe tradursi in ulteriori riduzioni degli incentivi per la transizione ecologica, smantellamento delle normative antidiscriminatorie e un generale rallentamento delle politiche di inclusione e diversità. Tuttavia, la resilienza del mercato e l’impegno di attori locali e internazionali suggeriscono che il progresso, seppur ostacolato, non si fermerà del tutto. L’equilibrio tra interessi economici e valori sociali resta fragile, e il futuro dipenderà da quanto le aziende e i governi saranno disposti a resistere alle pressioni politiche per mantenere un impegno autentico verso un mondo più equo e sostenibile.