Dalla Sardegna al Salento, dalla Sicilia al Lazio, le foreste italiane sono a rischio Situazioni gravissime, che peseranno per anni sulla collettività e l’ambiente.
Per frenare i disastri alimentati dal cambiamento climatico e aumentare la resilienza delle foreste agli eventi estremi l’Università di Milano, nell’ambito del progetto LIFECO2PESandPEF, ha collaudato un metodo per valutare la vulnerabilità delle foreste italiane e intervenire per mitigare i danni di incendi, schianti, frane e valanghe.
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20mila ettari devastati dal fuoco, 1500 persone evacuate e molti animali rimasti uccisi dalle fiamme. In Sardegna, come In molte aree del Paese, in estate, la tragedia degli incendi si ripete e i cambiamenti climatici possono solo far aumentare questo fenomeno.
Il periodo tra il 1981 e il 2020 ha fatto registrare in Italia un aumento di temperatura media di 1.1 °C rispetto al trentennio precedente. Il primo “Rapporto nazionale sullo stato delle foreste in Italia” ci indica che gli incendi costituiscono il principale fattore di rischio per il patrimonio forestale italiano: negli ultimi 4 decenni si è difatti registrata una media di 107.000 ettari di foreste all’anno percorsi da incendio e, sebbene il fenomeno si sia ridotto sensibilmente fra il 2010 e il 2017 (72.000 ettari/anno di media), si prevede un aumento dell’area bruciata del 20-40% nel solo bacino mediterraneo entro il 2050. Allo stesso tempo, la tempesta Vaia ci ha mostrato quanto il riscaldamento dell’aria e del mare possono influire sulla violenza delle perturbazioni e danneggiare estese aree boscate, interrompendo la loro capacitò di assorbire carbonio e fornirci servizi di produzione, regolazione e culturali.
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Per valutare l’impatto di questi rischi a livello locale, il progetto LIFECO2PES&PEF, dedicato proprio alla cura e alla conservazione delle foreste e cofinanziato dal programma LIFE della Commissione europea, ha realizzato, grazie all’Università di Milano, un metodo per analizzare e simulare la suscettibilità dei popolamenti forestali a ogni pericolo considerato. Lo studio è stato svolto nelle tre aree forestali pilota coinvolte nel progetto: il Demanio Forestale Forlivese e il Consorzio Comunalie Parmensi, aree forestali della Regione Emilia- Romagna e la proprietà regionale di Fusine, area forestale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.
Il comportamento e la diffusione degli incendi, il principale pericolo individuato per il patrimonio forestale italiano, sono stati simulati tramite il software FlamMap, che ha mostrato il possibile comportamento del fuoco e la probabilità di percorrenza del fuoco nelle tre aree forestali considerate. Le simulazioni hanno mostrato un pericolo d’incendio generalmente basso nelle tre aree, con una marcata differenza tra l’area alpina, dove il pericolo è decisamente contenuto (probabilità di combustione del 0-8,5% nella Foresta Regionale di Fusine) e quella appenninica, dove invece è più alto (probabilità di combustione del 3,5-16% nelle Comunalie parmensi di Baselica e Pontolo e nel Complesso demaniale Fantella-Galeata)La simulazione degli schianti da vento, effettuata tramite il software ForestGALES, è il principale disturbo invece degli ecosistemi forestali centroeuropei, ma ha causato anche in Italia ingenti danni, come nel caso della tempesta Vaia del 2018, che ha colpito circa 42.000 ettari di boschi nelle Alpi italiane orientali, abbattendo 8.7 milioni di m3 di legname e riducendo l’assorbimento del carbonio da parte dei popolamenti forestali di circa il 4%. Simulando le velocità critiche del vento che comporterebbero degli schianti nelle tre aree, si sono rilevati comportamenti molto variabili, con un minor vulnerabilità rilevata nell’area appenninica rispetto a quella alpina (le velocità critiche medie sono 15,6 m/s nella Foresta Regionale di Fusine, 41,8 m/s nelle Comunalie parmensi di Baselica e Pontolo e 61,7 m/s nel Complesso demaniale Fantella-Galeata).
I pericoli naturali come frane superficiali, valanghe e rotolamento di massi sono invece particolarmente rilevanti nelle aree forestali con versanti suscettibili a erosione e detriti, dove è difficile che la foresta riesca a svolgere appieno la sua funzione protettiva: insufficiente densità e copertura arborea, bassa profondità delle chiome, snellezza troppo elevata, instabilità o ancoraggio inadeguato degli alberi, presenza di patologie fitosanitarie e rinnovazione talvolta assente sono le principali cause di un’insufficiente efficacia protettiva da parte dei popolamenti analizzati. Queste carenze sono state individuate con frequenza analoga in tutte e tre le aree di studio esaminate.
L’analisi si è conclusa con la stima degli stock di carbonio e degli assorbimenti di CO2 (sink) nelle tre aree, al fine di individuare quali particelle forestali contengono e/o stanno attualmente assorbendo più carbonio e quali invece stanno avendo più difficoltà, ad esempio a causa di una competizione troppo elevata tra i vari alberi. I valori di stock (C) e sink medi (CO2) sono risultati più alti nelle Comunalie parmensi di Baselica e Pontolo (366 t/ha e 20 t/ha/anno), mentre la Foresta Regionale di Fusine (302 t/ha e 9 t/ha/anno) e il Complesso demaniale Fantella-Galeata (115 t/ha e 15t/ha/anno) hanno evidenziato rispettivamente l’assorbimento di CO2 e lo stock più basso.
Le analisi svolte tramite modelli di simulazione, utilizzando i dati misurati in campo nell’autunno 2020, hanno permesso di individuare con precisione le particelle forestali più suscettibili ai pericoli derivanti dal cambiamento climatico nelle tre aree di studio.
“Abbiamo l’obbligo di intervenire per mitigare gli effetti del fuoco e degli eventi climatici estremi – – dichiara Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano – grazie alle analisi effettuate nell’ambio del progetto, abbiamo individuato le zone più a rischio nelle aree pilota, dove si concentreranno gli interventi selvicolturali di prevenzione al fine di ridurre la suscettibilità dei popolamenti, ad esempio tramite una riduzione del carico e della continuità del combustibile o tramite diradamenti selettivi che permetteranno di aumentare la stabilità e la vigoria della foresta. Gli interventi selvicolturali di prevenzione che saranno effettuati a partire dall’autunno 2021 su 20 ettari di superficie campione per area di studio, serviranno a condizionare la struttura e la composizione di queste aree. E dunque ad aiutare le foreste a rigenerarsi dopo i danni provocati dagli eventi naturali, a rendere le foreste più resistenti al cambiamento climatico e ad incentivare una pianificazione strategica della gestione forestale, in Italia e in Europa, per tutelare e conservare il nostro patrimonio forestale boschivo”.Il progetto LIFECO2PESandPEF, cofinanziato dal Programma LIFE della commissione Europea, parte dall’idea di poter coniugare la conservazione della foresta, dei suoi processi e dei suoi servizi ecosistemici, aumentando gli assorbimenti di CO2 (visto che già oggi boschi e foreste italiane immagazzinano 1,24 miliardi di tonnellate di carbonio), diminuendo le perdite di carbonio per eventi estremi, e massimizzando la crescita forestale, con la garanzia di poter continuare a fornire sostenibilmente input (prodotti, legname, etc..) al sistema industriale, creando reddito e benessere per le comunità locali e mantenendo al tempo stesso la sostenibilità ambientale.
Finanziato dal Programma LIFE, il progetto ha come capofila e coordinatore la Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna di Pisa; mentre il Consorzio Comunalie Parmensi, FederlegnoArredo, Legambiente, la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Servizio Foreste e Corpo Forestale, la Regione Emilia Romagna, Servizio Aree Protette, Foreste e Sviluppo della Montagna, l’Unione di Comuni della Romagna Forlivese – Unione Montana e l’Università degli Studi di Milano completano il partenariato.