Il brain drain non ha solo un costo etico e morale, ma anche un impatto economico da non sottovalutare: eppure anche in Italia qualcosa si muove
Si parla sempre di “fuga dei cervelli” per indicare i talenti che lasciano il paese per esercitare la loro professione all’estero: scienziati, imprenditori, ricercatori e “geni” in ogni campo dello scibile. E’ un fenomeno che interessa molti paesi e l’Italia è particolarmente colpita, a causa di condizioni particolari sia nel campo dell’impresa che della meritocrazia in generale.
Ma al di là dei discorsi retorici, in soldoni quanto costa all’Italia un cervello in fuga? In questi giorni in cui si parla di manovra economica il tema è particolarmente attuale: l’esportazione di capitale intellettuale, secondo i dati di Confindustria, ci costa 1 punto di PIl all’anno. Che tradotto, ammonta a circa 14 miliardi annui.
Considerando infatti che la spesa per la crescita e l’educazione di un figlio fino ai 25 anni è di circa 165mila euro a famiglia, l’Italia ha “perso” 42,8 miliardi di euro in capitale umano, a cui vanno aggiunti costi sociali che si stimano intorno ai 5,6 miliardi.
Anche il rapporto della fondazione Migrantes, della CEI, parla di una vera e propria emorragia di talenti: nel 2016 se ne sono andati in 48.600, solo nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni, con un aumento del 23,3% rispetto al 2015. E ormai l’8,2 degli italiani vive fuori dai confini nazionali, con un 15,4% in più delle partenze registrato lo scorso anno.
Se questi dati sono poco confortanti, per tornare ad essere ottimisti basti pensare al fermento imprenditoriale che sfocia nelle start up: molti giovani scelgono di restare nel nostro paese (ricordate la storia di Buildo, la start up che pagava le vacanze ai dipendenti e che ha scelto di lasciare l’America per lavorare in Italia?) e il successo di manifestazioni come il DigithONE 2018 ci fa capire come il tessuto imprenditoriale giovanile sia vivo e vegeto ed abbia solo bisogno di un aiuto concreto in più.
foto @shutterstock