Diversity management, che cos’è? Stiamo parlando di una serie di attività che hanno la funzione di valorizzare la ‘diversità’ all’interno di un ambiente di lavoro. Che tipo di diversità? Di genere, di etnia, di cultura, di orientamento sessuale, fisiche. L’obbiettivo è quello di sostenere i diversi stili di vita nel rispetto dei diversi bisogni.
È un fenomeno nato da poco all’interno delle imprese, circa 3 anni, che giova al marchio aziendale non solo da un punto di vista etico ma anche al business: in un ambiente lavorativo sano, nel quale ognuno può esprimere se stesso anche nella diversità, il risultato ‘produttivo’ è migliore. Il diversity management favorisce lo scambio di opinioni tra i membri di un’impresa e questo apre a una prospettiva innovativa e inclusiva.
Diversity management: come si comportano le società italiane?
Come abbiamo detto, il diversity management si è diffuso recentemente all’interno delle aziende. Nel 2014 Intesa Sanpaolo ha sottoscritto un “Protocollo quadro sull’inclusione e le pari opportunità” con i sindacati che estendeva, tra le altre cose, il congedo matrimoniale anche alle coppie omosessuali che si sposavano all’estero. Anche Unicredit ha esteso da anni le coperture assicurative e il ricongiungimento familiare ai dipendenti lgbt.
Poi, lo scorso 2016 è stata approvata la Legge sulle unioni civili. Grazie a questo primo passo, anche il mondo del lavoro ha cominciato ad adottare politiche al fine di garantire i diritti riconosciuti dalla legge anche alle coppie dello stesso sesso.
Diversity management: politiche di inclusione favoriscono l’economia
Le politiche di diversity management non solo fanno bene ai membri dell’azienda, ma, in termini economici, la ‘ripagano’. I marchi a tutela della diversità, infatti, risultano più apprezzati dai consumatori e hanno registrato un aumento dei ricavi fino al 16,7% (dati rivelati durante il Diversity Brand Summit, lo scorso 8 febbraio a Milano).
Secondo il report Diversity Brand Index, tra i 45 marchi più inclusivi dal mercato finale il 20% fa parte del settore apparel&luxury good (Adidas, Calvin Klein, Desigual, Diesel, Dolce&Gabbana, Liu Jo, Nike, Tod’s, Versace). Il 7% è costituito da imprese consumer service come Airbnb, American Express e Poste Italiane e di information technology come Facebook, Google, Microsoft; il 5% è rappresentato da aziende come Apple e Samsung e Media Rai e Sky. A seguire il 4% ritiene inclusive società del settore Telco (Vodafone e TIM) e utilities (Eni, Enel).
Il 24% fa parte del settore del largo consumo (Akuel, Barilla, Coca-Cola, Dash, Dove, Durex, Herbalife, Lierac, Nutella, P&G, Ringo Pavesi) mentre il 20% opera invece nella sezione retail dove troviamo Amazon, Coop, Ebay, H&M, Ikea, Lidl, Piazza Italia, Oviesse, United Colors of Benetton.
“L’inclusione è un percorso culturale: le aziende hanno una responsabilità sociale in questo ambito. La D&I è capace di far convivere etica e business in maniera armonica, abbattendo discriminazione e generando valore per le aziende” – ha spiegato Francesca Vecchioni, presidente di Diversity, l’associazione no profit impegnata nella promozione di politiche di diversity management.
Durante il summit è stato assegnato il Diversity brand award 2018, vinto da Coca Cola per “l’impegno costante nell’attuazione di politiche di diversità&inclusione e allo stesso tempo, alla capacità dell’azienda di comunicarle al mercato finale”.