Fake news, non è un male del nostro tempo
Molti sono convinti che il fenomeno delle fake news sia nato con l’avvento di internet e con la sua diffusione capillare nella vita di tutti: non è proprio così, basti pensare che nel 1980 la giornalista Janet Cooke, Washington Post, vinse il Premio Pulitzer con una storia inventata di sana pianta.
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La menzogna è vecchia come l’uomo stesso e il suo sfruttamento per tornaconto personale è ancora più antico, il primo bugiardo della storia è il serpente nel giardino dell’Eden: inutile quindi meravigliarsi del fatto che con la moltiplicazione dei canali d’informazione siano moltiplicate anche le notizie false, quelle che con un termine deliziosamente anglosassone abbiamo iniziato tutti a chiamare fake news.
La cosa che dovrebbe preoccuparci è che non siamo in grado di distinguere le notizie false da quelle vere: neanche quelle più smaccatamente false, create ad arte per manipolare il consenso. Il problema è grave e non si può risolvere in dieci righe, diciamo che tutto questo ha a che fare con una scolarizzazione poco improntata al senso critico e con l’utilizzo massiccio di strumenti informatici da parte dei non-nativi digitali (la pagina Facebook “la piaga dei cinquantenni sul web” vi dice qualcosa?).
Se pensate però che i cosiddetti millenials siano gli unici in grado di padroneggiare il fenomeno fake news, vi sbagliate di nuovo: l’Università di Stanford ha condotto una ricerca lunga un anno sulle fake news e su come vengono recepite dai ragazzi, somministrando questionari agli studenti -dalle scuole medie all’università-in 12 stati USA. I risultati sono sconfortanti: oltre l’80% non è riuscito a distinguere una notizia dal native advertising, cioè un contenuto sponsorizzato (con regolare dicitura) che contiene una storia creata ad arte. (Qui i risultati integrali della ricerca)
Fake news, come difendersi
Come ci si difende allora dalle fake news, quelle che circolano sulle nostre time line di Facebook utilizzando foto, meme e slogan che diventano virali? (Basti pensare alla famosa foto con il presidente Pertini che incita ad usare “mazze e pietre”, diventato lo slogan del movimento dei forconi e condiviso diverse migliaia di volte)
Seguendo qualche semplice regola, dettata sia dal buon senso che seguendo i consigli di Melissa Zimdars, docente di Comunicazione e Media al Merrimack College in Massachusett:
Fare attenzione alle estensioni strane dei siti da cui provengono le news (l’estensione .io o com.co non è mai buon segno), controllare sempre altre fonti, cercare il nome del giornalista che ha scritto il pezzo su Google, controllare sempre se si tratta di un blog, di un sito amatoriale o di uno istituzionale (esiste la sezione “about us” o in alternativa, googlare anche il nome del sito), cercare di capire in che data è stato scritto l’articolo, non fermarsi solo al titolo ma leggere l’intero articolo e soprattutto svolgere queste verifiche prima di condividere l’articolo sui social network.
La notizia del giorno è che due noti network americani (BuzzFeed News e New York Times) hanno pubblicato delle ricerche che mettono in dubbio la regolarità delle prossime elezioni politiche italiane proprio per il rischio fake news. E l’FBI sta ancora indagando sugli hacker russi che avrebbero favorito l’elezione del presidente Trump spostando consensi anche grazie alle notizie false sul web. Durante l’ultima Leopolda l’ex premier Renzi ha parlato di una regia straniera che diffonde fake news e che vede uniti movimenti all’opposizione come la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle.
L’argomento dunque esce dall’accademia ed entra nella vita di tutti noi, cittadini elettori: saremo in grado di capire cosa è vero e cosa no, cosa stanno cercando di farci credere e di quali battaglie cercheranno di farci sostenitori? Saremo in grado di ragionare con la testa e non con la famosa “pancia”?
La sfida del nuovo millennio è proprio questa.