Oggi parlare di startup non è più una novità: in tutto il mondo queste giovani realtà imprenditoriali nascono sempre più facilmente, grazie a contributi privati e incentivi statali. Tuttavia, a parità di una crescita sempre maggiore, in numero di attività e in valore, non sempre si riesce a raggiungere un punto di svolta, che permette alle piccole imprese di diventare grandi realtà.
Guardando i fatturati annui relativi alle startup italiane, così come raccolti dal Politecnico di Milano, si può vedere che nel 2016 queste aziende hanno registrato un incremento del 24%, ottenendo oltre 180 milioni di euro. Il problema non è quindi legato all’attivo in bilancio anche se, nello stesso periodo, nazioni all’avanguardia come Germania e Francia hanno avuto incrementi fino a sette volte maggiori rispetto ai fatturati italiani. Anche in Spagna, nazione con la quale il paragone risulta maggiormente appropriato, per via della similitudine della condizione socio-finanziaria e dei valori del PIL, le startup presentano guadagni annui maggiori rispetto alle aziende italiane.
Quando si parla di difficoltà nel settore delle startup della penisola, spesso la fonte del problema è legata a una mancata possibilità di svolta: le piccole imprese italiane, infatti, nascono con estrema facilità, crescono e si espandono ma non riescono a raggiungere un vero e proprio punto di cambiamento, ossia raramente riescono a trasformarsi in azienda vera e propria o ad essere acquistate. Certo, il 2016 ha evidenziato come il settore continui ad essere in crescita e come i venture capital, i business angel e le aziende continuano a puntare su particolari progetti: tuttavia, il gap di fatturato rispetto alle realtà francesi, tedesche e spagnole resta, e non solo per quanto riguarda gli introiti, ma anche in relazione agli investimenti iniziali.
In Italia, come nel resto del mondo, il settore che attira un maggior numero di investimenti è quello del biotech. Il 70% dei contributi, infatti, è dedicato alle startup che realizzano progetti in questo settore (tra tutti, Moneyfarm, che ha raccolto ben 7 milioni di euro da investitori che hanno puntato sul loro progetto di consulenti robot). Seguono le startup nel campo della life science (tra le quali si distingue Silk Biomaterials), che nel 2016 hanno ricevuto contributi pari al 21%.
Qual è quindi la problematica legata alla mancata competitività delle startup italiane rispetto alle vicine Germania, Francia e Spagna?
Il problema maggiore non è dato tanto dalla crescita: come dimostrano i dati, infatti, la crescita c’è stata, sia in termini di fatturato che in termini di personale. Rifacendosi alle informazioni fornite dal Politecnico di Milano, la crescita del 24% di fatturato è stata accompagnata da un incremento anche nel numero medio di dipendenti di queste realtà imprenditoriali. I dati per il personale assunto dalle startup in Italia risalgono al 2015 e vedono oltre 2400 dipendenti contro i 1500 dell’anno precedente. Il reale impedimento, pertanto, non è la crescita, quanto la velocità di crescita. Questo dato è evidente soprattutto se si considerano i valori delle exit, ossia delle startup che vengono acquisite o quotate: si tratta di numeri molto bassi, spesso con valori altrettanto esigui, sicuramente non paragonabili a quelli delle altre nazioni europee. La svolta per il settore delle startup, quindi, sembra non essere ancora arrivata.