Con l’entrata in vigore della direttiva europea CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), oltre 50.000 imprese in Europa, di cui più di 4.000 in Italia, saranno presto obbligate a redigere un bilancio di sostenibilità, includendo l’impronta di carbonio delle loro attività. Secondo un sondaggio di PwC però, meno del 10% delle aziende italiane che dovranno conformarsi entro il 2025 ha già validato i dati necessari.
Tra le maggiori difficoltà c’è la raccolta e gestione di dati qualitativi lungo l’intera catena del valore, specialmente per le emissioni indirette di Scope 3, legate ai fornitori e alla distribuzione. In questo ambito, a causa dell’importante complessità, strumenti basati sull’intelligenza artificiale possono rappresentare una svolta: le piattaforme AI, come quelle sviluppate da startup come ClimateSeed o Coolset, offrono una mappatura dettagliata delle fonti di emissioni e automatizzano la raccolta dei dati, riducendo tempi e margini di errore. Grazie all’analisi di database diversificati, queste tecnologie permettono di generare stime accurate delle emissioni di CO₂, semplificando il processo decisionale e riducendo i costi di consulenza.
Carbon footprint e AI, cosa non funziona?
Attualmente però solo il 20% delle aziende globali utilizza l’AI per calcolare la carbon footprint, una percentuale che in Italia scende al 16%.
Nonostante i vantaggi, le piattaforme AI non sono esenti da costi, con servizi che vanno da poche migliaia a centinaia di migliaia di euro l’anno, a seconda della dimensione e complessità aziendale. Inoltre, è importante considerare l’impatto ambientale dei sistemi stessi: l’industria tecnologica rappresenta fino al 4% delle emissioni globali, spingendo a un uso più consapevole e sostenibile delle soluzioni digitali.
L’AI si pone come un alleato strategico per le imprese nel raggiungimento degli obiettivi Net Zero, ma il suo utilizzo deve essere parte di un approccio integrato, che bilanci innovazione tecnologica e sostenibilità.