I ruttini delle mucche sono altamente inquinanti, e per questo bisogna correggere il tiro aggiungendo alla loro dieta delle alghe. Povere mucche, non è colpa loro, ma secondo la Fao gli aninali in generale sono responsabili del 14% delle emissioni di gas serra nel mondo, e i due terzi sono riconducibili al bestiame d’allevamento. Per questo motivo si stanno cercando delle soluzioni, e una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Plos One e condotta da ricercatori dell’Università della California dimostra che aggiungere alghe nel mangime dei bovini potrebbe ridurre drasticamente le emissioni di metano provenienti dagli allevamenti. Si parla infatti di un 82%.
Tra i gas serra più pericolosi e maggiormente responsabili del cambiamento climatico il metano occupa un posto di rilievo: basti pensare che ha un impatto sull’atmosfera venti volte più nocivo della CO2. Ermias Kebreab, responsabile dello studio in questione, e la ricercatrice Breanna Roque hanno aggiunto per 5 mesi una piccola quantità di alghe alla dieta di 21 bovini da carne, monitorandone l’aumento di peso e le emissioni di metano.
I risultati parlano chiaro: i bovini che avevano assunto circa 80 grammi al giorno di alghe sono cresciuti tanto quanto gli altri, con il grande vantaggio che eruttavano l’82% in meno di metano. Il motivo è presto detto: le alghe inibiscono un enzima nel sistema digerente dei ruminanti che contribuisce alla produzione di metano.
Qualcuno però potrebbe temere che le alghe vadano ad influire sul sapore della carne o su quello del latte. Obiezione lecita, ma i consumatori di carne di bovino possono stare tranquilli. Sono stati effettuati infatti test di valutazione del gusto e i risultati non hanno rilevato differenze nel sapore della carne di manzo nutrito con alghe ed è emerso che le alghe non alterano nemmeno il sapore del latte.
Ora gli scienziati americani stanno cercando il modo di coltivare le alghe utilizzate negli esperimenti. Si tratta di alghe appartenenti alla specie Asparagopsis taxiformis, un tipo di alga rossa che cresce nei mari delle zone tropicali. La coltivazione si prefigura come via obbligata da percorrere perché in natura non ne crescono in quantità sufficienti per pensare a un utilizzo su larga scala.