Chiunque abbia visto insieme un animale domestico e un bambino non può non aver fatto caso al comportamento “diverso” che l’animale assume: è più paziente, si lascia “maltrattare” senza reagire, come se fosse consapevole che non gli verrà fatto veramente del male.
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Al netto delle possibili storture in questo rapporto (che a volte hanno conseguenze tragiche, che dipendono da fattori molto diversi fra loro e che non possiamo affrontare qui) quello fra animali e bambini è una sorta di idillio: si amano appassionatamente a vicenda e con un adulto equilibrato a guidarlin questo amore non può che arricchirli entrambe, da ogni punto di vista.
Ma gli animali si rendono conto di avere davanti un cucciolo di razza umana? Oppure per loro non c’è differenza fra adulti e bambini (se non di altezza)? La risposta è si, i mammiferi capiscono di avere a che fare con un bambino ed è il loro stesso istinto a suggerirlo.
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A spiegarcelo è Konrad Lorenz, padre dell’etologia: è stato lui, nel 1943, a coniare il termine “baby schema”. Il baby schema è l’insieme delle caratteristiche facciali, fisiche e comportamentali che stimolano nell’adulto cure parentali: occhi grandi, viso tondo, andatura goffa, forme arrotondate, pelle morbida, vocalizzi e comportamento “giocherellone” sono solo alcuni dei segnali che i mammiferi intercettano e riconoscono.
L’essere umano reagisce istintivamente al baby schema intenerendosi e in una situazione di pericolo protegge il piccolo: nello stesso modo lo schema provoca affetto positivo e diminuzione dell’aggressività anche negli altri mammiferi e in alcuni tipi di uccelli.
Per questo a volte restiamo incantati e meravigliati ad osservare il gatto che culla il neonato o il cane che cinge amorevolmente il suo padroncino con le zampe, senza fargli male: loro capiscono, esattamente come noi, che quelli sono cuccioli e vanno protetti.
Niente di straordinario, perchè più straordinario della Natura in effetti non esiste niente.