Nell’affrontare il caro bollette ancora una volta il Governo sta sbagliando strada e soluzioni da adottare. In vista del prossimo Cdm, Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia tornano a ribadire che il Paese non ha bisogno di soluzioni tampone, scellerate e insensate: non serve raddoppiare la produzione del gas e avviare nuove trivellazioni a terra e a mare. I veri interventi da mettere in campo, e che purtroppo al momento ancora latitano, riguardano la decuplicazione della velocità di sviluppo delle fonti rinnovabili, a partire dal solare fotovoltaico e dall’eolico, e l’avvio di serie politiche di efficienza energetiche nei consumi domestici e nei cicli produttivi.
Occorrono soluzioni credibili e radicali per ridurre le emissioni di CO2, semplificando anche le procedure autorizzative e garantendo un ruolo sempre maggiore alle fonti rinnovabili e ai sistemi di accumulo e correggendo e stabilizzando il superbonus edilizio del 110%. Solo così si potranno ridurre davvero le bollette e aiutare allo stesso tempo l’ambiente e le famiglie ad abbattere i costi.
Il gas fossile, sottolineano le associazioni, è un combustibile che minaccia il clima e da cui
dipendiamo in modo pericoloso, come dimostra il prezzo attuale delle nostre bollette. L’Italia importa il 94% del gas naturale che utilizza e ciò porta ad un’eccessiva dipendenza dal contesto internazionale e una conseguente vulnerabilità, assolutamente non mitigabile con eventuali nuove estrazioni dalle irrisorie riserve nazionali (agli attuali consumi esauriremmo le riserve certe e probabili di gas nazionale in soli 15 mesi), che non si avrebbe se investissimo nelle rinnovabili e in efficienza. Gli investimenti previsti nel gas fossile, comprensivi di Capacity Market, ci costeranno almeno 30 miliardi di euro, che verranno sottratti alle energie rinnovabili, unica vera soluzione al cambiamento climatico.
Le associazioni ribadiscono anche le loro critiche di fondo sul PITESAI, pubblicato in questi giorni dopo l’intesa con le Regioni e in attesa del decreto ministeriale conclusivo. “Ci saremmo attesi da un Piano strategico per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee come il PiTESAI, in coerenza con l’obiettivo europeo di decarbonizzazione al 2050, – dichiarano Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia – uno stop a qualsiasi rilascio di nuove autorizzazioni per concessioni di coltivazioni di idrocarburi liquidi e gassosi a terra e a mare; un’indicazione chiara sul termine ultimo per chiudere qualsiasi attività estrattiva nel nostro Paese (come hanno fatto per legge da Francia e Danimarca); nessuna proroga per le concessioni di coltivazione e i permessi di ricerca che non siano stati sottoposti a VIA (94 concessioni e 1 permesso di ricerca sui 248 titoli minerari vigenti al
30/6/2021)”.
Gli ambientalisti ricordano che, secondo quando previsto dal PITESAI, potranno invece riprendere i procedimenti autorizzativi vecchi e nuovi (compresi quelli di Valutazione di Impatto Ambientale) per la prospezione e ricerca degli idrocarburi, che erano stati sospesi con la moratoria del 2019, che minacciano 26mila kmq sulla terraferma e circa 91mila chilometri quadrati di mare (con il rischio che vengano anche riaperte aree situate nell’Alto Adriatico dove finora erano bloccate le attività di ricerca per problemi legati al rischio subsidenza). Attività di ricerca, che saranno comunque finalizzate alla sola individuazione delle riserve di gas (come richiesto dalla Conferenza Unificata).