Il riscaldamento del pianeta è causato dall’attività dell’uomo, e questo – che oggi diamo per assodato – è stato dimostrato per la prima volta dall’IPCC, massima autorità sul clima, nel 1995. Da allora però chi non crede a questa verità ha frenato le attività di contrasto al cambiamento climatico, al punto che l’Accademia delle scienze svedese lancia l’allarme: la disinformazione sta mettendo in pericolo le misure per salvare il pianeta.
Come spiega Milena Gabanelli nella sua rubrica Dataroom, i primi a screditare la scienza sono i gruppi di studio americani finanziati dall’industria petrolifera: si parla di una cifra che si aggira intorno ai 6.3 miliardi di dollari tra il 2003 e il 2010, facendo quello che per 40 anni con successo ha fatto l’ndustria del tabacco, seminando dubbi che poi vengono ripresi dai media più importanti.
Negli ultimi 10 anni, come è facile intuire, la disinformazione si è trasferita sul web. Un esempio su tutti: nel 2012 durante l’uragano Sandy furono postate foto false per far passare l’idea che dietro all’emergenza ci fosse una cospirazione del governo per controllare il Paese.
L’avvento di Donald Trump non ha di certo aiutato: in 4 anni l’ex Presidente ha varato 176 provvedimenti per ridurre le misure di contrasto ai mutamenti climatici, e nel 2017 ha proposto il ritiro degli USA dagli accordi di Parigi sostenuto da una poderosa campagna Twitter. In seguito si è scoperto che milioni di tweet sul clima provenivano da un programma informatico costruito ad hoc.
Il blog scientifico Desmog ha raccolto in un database i nomi di persone, aziende, think tank impegnati ad ostacolare il processo di transizione. Tra i più attivi c’è l’Heartland Institute dell’Illinois, un ente no profit che da anni sostiene che l’aumento delle temeprature sia solo un fenomeno naturale.
Dal 2020, per fortuna, Facebook segnala le fake news climatiche postate dagli utenti invitandoli a consultare fonti più autorevoli. La strategia dei negazionisti nel frattempo si è raffinata: “l’allarmismo climatico è ingiustificato”, oppure “ormai è troppo tardi per intervenire”. Una buona notizia in questo quadro desolante c’è: da fine febbraio 2021 Joe Biden ha riportato gli USA dentro gli accordi di Parigi.