Per fronteggiare l’emergenza coronavirus tutto il mondo utilizza un’innumerevole quantità di mascherine e altro materiale anti contagio. Non sempre, però, questi oggetti sono smaltiti correttamente e questo provoca un danno, soprattutto in termini di inquinamento marino.
L’allarme arriva da OceansAsia, associazione che si occupa di conservazione marina. Durante un viaggio esplorativo nelle isole di Soko (Hong Kong) il team ha rinvenuto ammassi di mascherine depositate sulla spiaggia.
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Ecco allora che, oltre a preoccuparci dell’enorme quantità di plastica che campeggia nei nostri oceani ormai da anni, arriva un’ulteriore minaccia a impattare pesantemente sull’ambiente.
Mascherine per coronavirus in propilene, materiale che non si rompe rapidamente
Siamo a Soko, al largo della costa sud occidentale dell’isola di Lantau, dove OceansAsia ha avviato studi e ricerche sull’inquinamento da plastica. Circa due volte al mese il gruppo di ricercatori monitora la spiaggia per verificare la presenza di rifiuti.
L’ultimo controllo ha messo in evidenza l’abbondare di mascherine (usate nell’emergenza Coronavirus) sulla costa. “Abbiamo trovato 70 maschere scartate a 100 metri dalla spiaggia e altre 30 maschere quando siamo tornati una settimana dopo” – ha dichiarato a Energy Live News Gary Stokes, fondatore di OceanAsia. Non solo. Sembrerebbe che alcune fossero in acqua da poco tempo per la loro integrità.
Qual è dunque il danno che questo smaltimento scorretto causa all’ambiente? Secondo Teale Phelps Bondaroff, direttore della ricerca di OceansAsia: “La maggior parte di queste maschere contiene o sono realizzate in polipropilene, che non si rompe rapidamente. Una maschera che viene ingerita da una tartaruga locale, un delfino rosa o una neofocena, per esempio, potrebbe facilmente rimanere bloccata nel sistema digestivo di questo animale, uccidendolo”.