Contenuto in moltissime pietanze ‘gustose’ che ci fanno gola, il biossido di titanio può essere “cancerogeno per l’uomo”. Ecco cosa dibbiamo sapere
Ingerire il biossido di titanio è molto più facile di quanto crediamo, soprattutto perché è contenuto in moltissimi cibi ‘gustosi’ che ci fanno gola. Parliamo di formaggi, salse cremose o dolci appetitosi, tutte pietanze in cui nella maggior parte dei casi ci sono coloranti, addensanti e additivi.
Sostanze che non si trovano lì ‘per caso’, ma sono inserte all’interno di questi cibi volontariamente dalle aziende che li producono per renderli più invitanti e dunque meglio piazzabili sul mercato. L’utilizzo di questo tipo di composti è oggetto di dibattito da parte degli esperti.
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Perché? Di che tipo di sostanza stiamo parlando? Può danneggiare la nostra salute? Come evitarlo? Proviamo a rispondere a queste domande per fare un po’ di chiarezza.
Biossido di titanio, “possibile cancerogeno per l’uomo”
Il biossido di titanio, noto anche come E171, è un composto chimico presente nelle creme solari, nelle protesi dentarie e, come abbiamo già detto, in alcuni cibi. Si presenta sotto forma di polvere cristallina incolore, tendente al bianco.
Questa sostanza ha sollevato nel corso degli anni diverse perplessità, legate soprattutto ai rischi. Uno dei pericoli più noti si manifesta senza dubbio quando viene respirato: nel 2006, infatti, la Iarc lo ha definito “possibile cancerogeno per l’uomo” in caso di inalazione.
E se lo ingeriamo? In questo caso le informazioni sono meno certe. Nel 2017, però, l’Istituto nazionale francese per la ricerca agronomica (Inra) ha condotto una ricerca dalla quale è emerso che un’esposizione cronica al biossido di titanio, attraverso il cibo, provochi “stadi precoci di cancerogenesi”. In seguito a questa ricerca, il governo francese sospenderà la vendita di prodotti contenenti biossido di titanio da gennaio 2020.
Se poi le particelle sono nanometriche, il rischio è ancora più elevato. Più le dimensioni sono ridotte, infatti, maggiore è la possibilità di penetrare nelle cellule e danneggiarle, fino ad arrivare al Dna. È chiaro che il consumatore non può riconoscere da solo questa sostanza, dunque evitarla risulta davvero complicato.
Biossido di titanio, quando la burocrazia non aiuta
Se il consumatore non può riconoscere l’E171, potrà però verificarne la presenza tra gli ingredienti presenti in etichetta. Non è proprio così. Sebbene il regolamento UE 1169/2011 (articolo 18) preveda che tutti gli ingredienti presenti sotto forma di nanomateriali debbano essere dichiarati in etichetta, il 1363/2013 esclude questo obbligo per i nanoingredienti di additivi autorizzati, come per esempio il biossido di titanio.
A questo proposito Il Salvagente ha analizzato una dozzina di prodotti in laboratorio: gomme da masticare, snack, confetti al cioccolato e alle mandorle, compresse farmaceutiche. In metà dei campioni c’era presenza di E171 anche in forma di anatasio (una delle più pericolose). Da questa ricerca è emerso che, dopo aver ingerito il prodotto, una quantità non indifferente di biossido di titanio invade l’organismo, con conseguenze tossicologiche difficili da quantificare.
“Una sostanza in dimensione infinitesima spesso acquista anche proprietà biologiche che altrimenti non eserciterebbe. In molti casi aumenta la reattività biologica, e ciò comporta interferenze nei processi cellulari, capacità di promuovere reazioni infiammatorie, interazioni con componenti del sistema immunitario e altri effetti che possono avere conseguenze sfavorevoli, specie se il contatto con l’organismo è prolungato nel tempo. Inoltre, proprio per le minute dimensioni, le nanoparticelle (che sono 10mila volte più piccole di un capello) attraversano le membrane delle cellule e vengono più facilmente assorbite attraverso l’apparato respiratorio ed anche per ingestione” – ha spiegato il professor Manzo della Facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pavia.