Rifiuti di plastica ritrovati nei mari di tutto il mondo e riconducibili alla compagnia Nestlè: questa l’accusa mossa dagli attivisti di Greenpeace, che hanno fatto irruzione durante l’Assemblea Generale annuale della multinazionale presso Losanna, in Svizzera. Nella sala c’erano striscioni con la scritta “Nestlé, stop single use“.
Gli attivisti, insieme alla coalizione internazionale Break Free From Plastic (movimento globale in crescita in tutto il mondo) hanno chiesto all’azienda di ridurre la produzione sul mercato di prodotti di plastica monouso. Non solo. Hanno anche suggerito di utilizzare sistemi di consegna alternativi basati sullo sfuso e sul riutilizzo.
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“Siamo qui con i nostri alleati del movimento Break Free From Plastic per dire a Nestlé che è il momento di invertire la rotta. La plastica soffoca i mari e uccide gli animali che li popolano e stiamo cominciando a capire le gravi conseguenze che il suo abuso può causare anche alla salute umana” – ha spiegato Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International.
Mari inquinati: l’anno scorso Nestlè ha prodotto 1,7 milioni di tonnellate plastica
Nonostante la multinazionale avesse detto più volte di prendere sul serio la questione ambientale, i numeri ci raccontano altro. “Lo scorso anno Nestlé ha prodotto 1,7 milioni di tonnellate di plastica, il 13 per cento in più rispetto all’anno precedente. È ora che si assuma le proprie responsabilità e presenti un piano d’azione concreto e trasparente, con scadenze ambiziose, per ridurre la produzione di imballaggi usa e getta e investire in sistemi di consegna veramente sostenibili basati sullo sfuso e sul riutilizzo” – ha aggiunto la Morgan.
L’anno scorso sono state effettuate operazioni di pulizia e catalogazione dei rifiuti lungo i litorali in 42 nazioni di 6 continenti. Da quanto rilevato dagli attivisti di Greenpeace, Nestlé sarebbe stata identificata come uno dei tre marchi a cui era riconducibile il maggior numero di imballaggi in plastica. “Risultati analoghi sono stati riscontrati con Plastic Radar, l’iniziativa che ha raccolto segnalazioni fotografiche dei cittadini sulla presenza dei rifiuti sulle spiagge italiane. Anche in questo caso Nestlé è risultata tra le aziende più segnalate con i marchi Acqua Vera, Levissima, Motta e San Pellegrino” – ha dichiarato Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento Greenpeace Italia.
Recentemente Greenpeace ha diffuso uno spot sull’argomento, con protagonista proprio la Nestlè. Nel video si vede il ‘capo dell’ufficio plastiche’ dell’azienda che sta giocando a squash e che, accaldato, sente il bisogno di bere dell’acqua. Ecco allora che si reca verso un distributore che vende solo prodotti della multinazionale. Seleziona la bevanda e, quando fa per prenderla, immerge le mani in una sorta di melma di rifiuti di plastica. La macchina comincia a rigettare fuori questa amalgama di scarti, vecchie confezioni e animali marini morti. Vale la pena vedere come si conclude il mini spot.
Gli oceani chiedono aiuto: l’appello di Federpesca
La richiesta di aiuto arriva direttamente da Danny Faure, presidente delle Seychelles, che ha lanciato un appello da un sottomarino nell’Oceano indiano per la tutela del “cuore blu pulsante del nostro pianeta”. Le sue parole, pronunciate durante una spedizione scientifica britannica nell’oceano, sono chiare: “Questo problema è più grande di tutti noi, e non possiamo aspettare la prossima generazione per risolverlo. Stiamo esaurendo le scuse per non agire, e il tempo sta per scadere”.
Intanto i pescatori dei 22 Paesi del bacino Mediterraneo hanno deciso di allearsi per liberare il mare dalle plastiche. Parliamo di un vero e proprio Manifesto, promosso da Federpesca in collaborazione con Seeds&Chips, che sarà presentato il 6 maggio a Milano durante la prima giornata del Global Food Innovation Summit.
Il documento è intitolato “Humans of Mediterranean – La generazione che ha curato il mare”. È costituito da 5 articoli, nei quali si invitano i governi a fornire gli strumenti legislativi e le risorse per curare il mare. “Possiamo dimostrare che un’azione congiunta per la tutela del Mediterraneo porti benessere e crescita economica diffusa in modo sostenibile, arricchisca tutti e sia un argine significativo al cambiamento climatico” – come si legge nell’ultimo articolo del Manifesto.