Ai primi posti in Europa e nel mondo per prelievi d’acqua potabile e consumo di minerale in bottiglia, l’Italia è fanalino di coda tra gli Stati Ue per tasso di investimenti nel settore idrico, con una media di 40 euro per abitante all’anno, secondo dati The European House-Ambrosetti. Sono circa 425mila i km di infrastrutture della rete idrica obsolete, il 25% delle quali ha oltre 50 anni e il 60% supera i 30.  

Sul fronte delle perdite, al sud si disperdono 1,25 miliardi di metri cubi di acqua in più rispetto al Nord, pari alle esigenze idriche di 15 milioni di persone, e le irregolarità nell’erogazione del servizio idrico interessano ben il 20,4% delle famiglie, di contro al 2,7% delle famiglie nel Settentrione. Nel Meridione si registra anche il maggiore grado di insoddisfazione per interruzioni della fornitura del servizio idrico, con picchi in Calabria (40,2%) e Sicilia (31,9%).  

Sono alcuni dei dati emersi oggi durante la seconda edizione del “Forum Acqua: per un servizio idrico integrato sostenibile”, organizzata da Legambiente in collaborazione con Utilitalia e Celli Group, con il patrocinio del ministero dell’Ambiente e della Regione Lazio.  

“Nella discussione sul Recovery plan italiano si continua a parlare di progetti lontani dai bisogni del Paese, come il tunnel sotto lo stretto di Messina o il confinamento geologico della CO2 nei fondali marini in alto Adriatico, di fronte la costa ravennate, ma non si mettono in programma gli interventi realmente cantierabili e utili al Paese e ai cittadini, come i depuratori, gli acquedotti o le reti fognarie – commenta Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Un servizio idrico integrato sostenibile è centrale per andare nella direzione prevista dalle direttive comunitarie, in termini di disponibilità dell’acqua per le persone, di tutela della risorsa idrica e per un’efficace politica di adattamento al cambiamento climatico a partire dalle città. Ma occorre intraprendere un percorso concreto di discussione tra tutti i soggetti coinvolti per avviare un processo virtuoso che coniughi investimenti, progettazione di qualità e innovazione”. 

Per il vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo, “restano aree del Paese in forte ritardo soprattutto nel Mezzogiorno dove sono ancora numerose le gestioni comunali ‘in economia’: ciò si traduce in livelli di servizi e di investimenti non adeguati, creando iniquità fra diverse parti del Paese. Per colmare il gap infrastrutturale accumulato nei decenni passati sono necessari ingenti investimenti, il cui finanziamento e la cui concreta realizzazione sul piano tecnico possono essere assicurati solo da soggetti industriali qualificati. Il Recovery Fund può rappresentare una grande occasione: Utilitalia ha raccolto le proposte delle utilities, progetti concreti ripartiti fra transizione verde e digitalizzazione. Per quanto riguarda nello specifico il settore idrico, i progetti presentati si concentrano sui temi della depurazione (da nuovi impianti al trattamento dei fanghi), sulla riduzione delle perdite attraverso nuove tecnologie, sull’ottimizzazione degli approvvigionamenti e sul contrasto al dissesto idrogeologico. Con il sostegno del Recovery Fund, il contributo delle utility alla ripresa del Paese in chiave sostenibile può avere l’accelerata decisiva”, conclude sottolineando che “gli investimenti delle utilities, che 10 anni fa si attestavano sui 0,5 miliardi annui, oggi ammontano a 3 miliardi annui e potrebbero salire a circa 30 miliardi nei prossimi 5 anni”.  

Le cinque proposte di Legambiente. Ammodernare la rete di distribuzione dell’acqua potabile: secondo gli ultimi dati diffusi dall’associazione (relativi ai capoluoghi di provincia al 2018), infatti, in Italia oltre il 36% dell’acqua potabile non arriva ai rubinetti, mentre in 18 città la metà dell’acqua immessa nelle condutture viene dispersa.  

Porre fine all’emergenza depurativa per la quale l’Italia è già stata condannata dall’Unione europea a pagare 25 milioni di euro, cui se ne aggiungono altri 30 ogni semestre di ritardo nella messa a norma degli impianti.  

Separare le reti fognarie, tra acque di scarico e meteoriche, favorendo anche interventi di adattamento al clima nelle aree urbane.  

Prevedere investimenti su ricerca e sviluppo di sistemi e impianti innovativi.  

Introdurre misure per la “riqualificazione idrica” degli edifici e degli spazi urbani nei meccanismi di incentivazione e defiscalizzazione, così come avviene per gli interventi di efficientamento energetico.  

Rafforzare, la rete dei controlli ambientali con l’approvazione dei decreti attuativi previsti dalla legge 132 del 2016.