Undici Paesi registrano livelli di fame allarmanti e 40 Paesi appartengono alla categoria grave. E’ quanto emerge dall’Indice Globale della Fame 2020 secondo il quale, a livello mondiale, la fame è ad un livello moderato, in miglioramento rispetto al 2000, ma resta alto l’allarme fame e malnutrizione. Le conseguenze socioeconomiche dell’emergenza Covid-19 potrebbero peggiorare la situazione e vanno ad aggiungersi all’impatto del cambiamento climatico su produzione, disponibilità e qualità del cibo e quindi sulla sicurezza alimentare globale.
L’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index, Ghi) realizzato da Welthungerhilfe e Concern Worldwide e curato da Cesvi per l’edizione italiana, è uno dei principali rapporti internazionali per la misurazione multidimensionale della fame nel mondo. Secondo le agenzie delle Nazioni Unite, inclusa l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e la Banca Mondiale quasi 690 milioni di persone sono denutrite; 144 milioni di bambini soffrono di arresto della crescita e 47 milioni soffrono di deperimento e 5,3 milioni sono morti prima dei cinque anni nel 2018, in molti casi a causa della malnutrizione.
Dall’edizione 2020 emerge che il secondo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (Sdg), conosciuto come Fame Zero, fissato per il 2030, rischia di non essere raggiunto: al ritmo attuale, 37 Paesi non riusciranno nemmeno a raggiungere un livello di fame basso nella Scala di Gravità. Inoltre, la pandemia di Covid-19 e la relativa recessione economica, e le devastanti conseguenze del cambiamento climatico, stanno aggravando l’insicurezza alimentare e nutrizionale di milioni di persone.
L’Indice Globale della Fame 2020 presenta un livello di fame globale (punteggio di 18,2) in miglioramento rispetto al 2000 in cui si registrava un livello globale grave; tuttavia, in molte zone il progresso è troppo lento e la fame rimane acuta. La percentuale di persone denutrite nel mondo è stabile, ma il numero assoluto è in aumento: nel 2019 la popolazione mondiale denutrita era all’8,9%, invariata rispetto al 2018, ma nel 2019 questa percentuale corrispondeva a quasi 690milioni di persone, ovvero 10milioni in più rispetto al 2018 e quasi 60milioni in più rispetto al 2014 (Fao et al. 2020).
Sono l’Asia meridionale e l’Africa a Sud del Sahara le Regioni con i livelli di fame più elevata, i cui punteggi di Ghi 2020 sono rispettivamente di 27,8 e 26. In entrambe le aree la fame è di livello grave, a causa dell’elevata percentuale di persone denutrite (rispettivamente 230 e 255 milioni) e dell’alto tasso di arresto della crescita infantile (1 bambino su 3). L’Africa a sud del Sahara ha il più alto tasso di mortalità infantile al mondo, mentre l’Asia meridionale ha il più alto tasso mondiale di deperimento infantile.
“L’Indice Globale della Fame 2020 – sottolinea la presidente di Cesvi, Gloria Zavatta – mostra che la lotta alla fame globale deve essere sempre di più un impegno comune e una sfida sempre più urgente, resa ancora più complessa dalla pandemia di Covid-19 e dalle sempre più drammatiche conseguenze del cambiamento climatico”.
“Dall’Indice Globale della Fame 2020 emerge che probabilmente dovremo affrontare altri shock e sfide da qui al 2030. Se agiamo insieme contrastando il cambiamento climatico e ripensando i nostri sistemi alimentari in modo equo, sano, resiliente e rispettoso dell’ambiente, possiamo non solo fare fronte alle crisi attuali, ma anche tracciare un percorso verso il raggiungimento dell’obiettivo Fame Zero”, conclude la presidente Cesvi.