Un tour in 16 aziende apistiche e 13 regioni d’Italia. La startup agritech 3Bee torna dal suo ‘3Bee on the road’ con un quadro purtroppo difficile della situazione degli apicoltori e delle api in Italia. Nelle prime due settimane di agosto, il team di 3Bee ha fatto un viaggio lungo ‘lo stivale’, per dar voce ad alcuni degli apicoltori italiani che hanno installato i sistemi intelligenti di monitoraggio e diagnostica progettati proprio dai due fondatori della startup, Niccolò Calandri e Riccardo Balzaretti.  

“Le realtà apistiche locali sono in sofferenza. Da nord a sud il grido di allarme è unanime a causa dei cambiamenti climatici e dell’utilizzo massiccio di pesticidi in agricoltura: i fiori hanno meno nettare e quindi le api, che non hanno nutrimento a sufficienza, muoiono sempre più numerose. Questo significa un grave danno anche per la salute dell’ambiente dato che questi insetti impollinatori mantengono la biodiversità ambientale e sono responsabili dell’80% del cibo sulle nostre tavole” afferma Niccolò Calandri, ceo di 3Bee, che ha incontrato personalmente gli apicoltori e raccolto le loro testimonianze. 

L’impiego massiccio di insetticidi e pesticidi hanno impatti negativi sulle capacità riproduttive, cognitive e di memorizzazione delle api, che oltretutto faticano a trovare il nutrimento a causa dell’impoverimento degli habitat naturali dovuto alle pratiche di agricoltura intensiva e ai cambiamenti climatici. Proprio questi ultimi stanno impattano negativamente sulla salute delle api: secondo Coldiretti in Italia ci sono 50 miliardi di api e 1,5 milioni di alveari che continuano a risentire delle variazioni del clima, tanto che quest’anno a seguito di un inverno particolarmente mite (di 1,65 gradi superiore alla media) hanno iniziato a lavorare in anticipo, a febbraio, rischiando di essere sorprese da una gelata.  

Accanto al tema della salute delle api, c’è poi il discorso, altrettanto problematico, del mestiere dell’apicoltore oggi, che risente anch’esso dei cambiamenti climatici e gode di scarse garanzie legislative. Secondo i dati della Fai (Federazione apicoltori italiani), che è recentemente intervenuta in Senato insieme a Unaapi (Unione nazionale associazioni apicoltori italiani) per denunciare la condizione degli apicoltori italiani e promuoverne il rilancio (qui l’intervento integrale), in Italia ci sono 56.665 proprietari di alveari, con 1.835.776 colonie (1.579.776 alveari e 256.000 sciami, 2 milioni di api regine e 80 miliardi di api operaie) e con un valore ecosistemico di 150 miliardi di euro, il nostro Paese è il quinto per la produzione di miele secondo la Commissione Europea. 

“Dalle testimonianze raccolte dai vari apicoltori che abbiamo incontrato, è emerso che quest’anno è stato prodotto dal 30% al 90% di miele in meno rispetto al 2019 che già era stata un’annata particolarmente critica: gli apicoltori, inoltre, pur svolgendo un’attività di interesse nazionale per il mantenimento della biodiversità, hanno scarse garanzie a tutela del loro lavoro e oltretutto sono fortemente minacciati dalla concorrenza del miele di importazione” aggiunge Niccolò Calandri. 

Certo, la tecnologia può aiutare: “Elaborando dati utili come variazioni di peso, temperatura, umidità e suoni all’interno dell’alveare, i nostri sistemi permettono all’apicoltore di intervenire tempestivamente, solo quando necessario sulla base di quello che sta realmente succedendo in alveare: il lavoro si ottimizza, i trattamenti chimici sono ridotti al minimo e alle api viene dato il nutrimento migliore, con benefici per la loro salute”.  

Grazie al monitoraggio dell’alveare da remoto, “inoltre, si riducono gli spostamenti in apiario e quindi le emissioni di anidride carbonica. Nel nostro piccolo, nell’ultimo anno abbiamo procurato 200.000 euro di indotto agli apicoltori, inteso come valore del miele che abbiamo comprato da coloro che utilizzano i nostri alveari 3.0”. 

E proprio la promozione del miele artigianale italiano, prodotto da realtà apistiche locali, è una delle azioni che possono contribuire a dare respiro a questa attività in sofferenza. “In Italia ci sono oltre 50 varietà di miele unifloreale e migliaia multifloreale, molto diversificate regione per regione, ognuna con le sue caratteristiche peculiari dettate dal clima e dalla conformazione geografica: dal rododendro di montagna all’arancio siciliano, dal girasole al raro ciliegio. In Abruzzo, una delle regioni più prolifiche si trovano tipologie molto rare come il miele di stregonia e di santoreggia”. 

3Bee ha anche ideato programmi di adozioni rivolti alle aziende e ai privati con cui ognuno può dare il proprio contributo al ripopolamento degli alveari: “In un anno, grazie all’adesione di 70 aziende, tra cui anche brand come Ferrero, Actimel di Danone e Carrefour Italia, sono già stati protetti 70 milioni di api. E anche i privati stanno rispondendo con entusiasmo al progetto a loro dedicato, dimostrando anche una maggiore consapevolezza nella scelta di un miele genuino e prodotto in modo etico”.  

Altre buone pratiche alla portata di tutti sono la creazione di un giardino o di un balcone accogliente per le api prediligendo le specie di fiori e piante più ricche di nutrimento per questi insetti, oppure supportare progetti virtuosi come la realizzazione di ‘corridoi per le api’ specie nei luoghi dove è il cemento a farla da padrone: ampi spazi verdi con una vegetazione che può rappresentare un’oasi anche per le api, in città o lungo i tratti autostradali. 

In casi come questo, è fondamentale il coinvolgimento delle istituzioni che, secondo 3Bee, dovrebbero attivarsi con rapidità per tutelare le api e gli apicoltori: “Ogni anno si registra una moria di colonie in tutta Italia. È necessaria, quindi, una regolamentazione normativa e un sistema di assicurazione adeguati, che tutelino gli allevatori di api in caso di danni ingenti alla produzione e permettano loro di mantenersi”.  

“È infine importante adottare politiche di valorizzazione delle produzioni di miele made in Italy a livello locale, che sono le più minacciate dalle importazioni di miele dall’Est Europa e dalla Cina, che hanno prezzi molto inferiori, ma anche una qualità molto spesso discutibile e che comunque deve essere verificata con opportune analisi” conclude Niccolò Calandri.