Cicloni tropicali in aumento nel 2020 nel bacino Atlantico. “Questa stagione 2020, ancora in piena evoluzione (la stagione dei cicloni tropicali in Atlantico parte il primo giugno e finisce a fine novembre) ha contato un numero abbastanza alto di cicloni tropicali: se in sei mesi ce ne sono in media 15, già adesso, a fine agosto, abbiamo raggiunto la 13esima tempesta tropicale, un record nella serie storica di questo bacino”.
Questa condizione, spiega all’Adnkronos Enrico Scoccimarro, ricercatore della Fondazione Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, “è legata a condizioni atmosferiche e oceaniche favorevoli alla formazione delle tempeste tropicali e ci aspettiamo che questa tendenza continui anche grazie al fatto che stiamo andando verso una fase dell’oscillazione Enso (El Nino Southern Oscillation) favorevole (La Nina) allo sviluppo di tai sistemi nel bacino Atlantico principalmente associata a bassi valori di vertical wind shear ovvero ridotta differenza di velocità del vento tra gli strati alti e bassi dell’atmosfera”.
Mentre l’uragano Laura si abbatte sulle coste Usa, l’esperto spiega come originano tali fenomeni e cosa ci si può aspettare nella loro evoluzione. Quando parliamo di uragani, infatti, “parliamo di cicloni tropicali ovvero fenomeni atmosferici che si formano in determinate condizioni nella fascia che va mediamente dai 7-8 gradi Nord ai 30 gradi Nord di latitudine: è infatti necessario avere una temperature dell’oceano sufficientemente alta (non possono formarsi quindi troppo a Nord) e una forza di Coriolis non nulla (all’equatore è uguale a 0) per permettere l’innesco della rotazione del sistema”.
“Uragani e tifoni sono la stessa cosa dal punto di vista fisico ma assumono il nome di tifoni nel Pacifico occidentale mentre nell’Atlantico si parla di uragani – chiarisce il climatologo – L’intensità si misura in base all’intensità del vento alla superficie: quando hanno una velocità superiore ai 33 metri al secondo vengono definiti uragani nell’Atlantico o tifoni nel Pacifico. Poi ci sono le varie classi da 1 a 5 in base alle diverse soglie della velocità del vento: a partire da 33 metri al secondo (categoria 1) fino a superare i 70 metri al secondo (categoria 5), quindi oltre i 250 km/h”.
“Da subito l’uragano Laura è stato paragonato a Katrina perché Katrina colpì le stesse zone del Golfo del Messico e molta enfasi è stata posta sul fatto che era anche più intenso di Katrina ma bisogna stare attenti ad un elemento: cioè che l’impatto e i relativi danni dipendono da come sono gestiste le coste. Laura non ha caratteristiche particolarmente diverse dai cicloni che ci aspettiamo per questa stagione, l’unica anomalia che possiamo riscontrare è che si è intensificato abbastanza in fretta”, chiarisce Scoccimarro.
Più in generale, “quando arrivano a terra i cicloni tendono a spegnersi perché perdono la loro ‘benzina’ (il calore contenuto nell’oceano) quindi proseguono su terra riducendo l’intensità tanto più in fretta quanto più in fretta l’uragano lascia la regione oceanica. Poi possono tornare sull’oceano e reintensificarsi, ma non sembra il caso di Laura”.
Dunque quando “arrivano alla costa i cicloni fanno danni per certo numero di ore quanto più restano vicini ad essa prendendo energia dall’oceano: quanto più i venti e le precipitazioni sono forti, tanto più fanno danni. Quindi non è importante solo l’intensità dell’evento, ma anche il tempo di permanenza su una determinata area, che dipende principalmente dalla velocità di spostamento del ciclone. Se il vento è la causa del 10% circa delle morti indotte da uragani, tale valore sale a 30% per le piogge e quasi 50% per le inondazioni causate dal forte vento che raggiunge la costa”, rimarca il ricercatore ricordando anche che “potenziali impatti sono possibili anche sulle infrastrutture energetiche”.
Come incide il cambiamento climatico sulla formazione dei cicloni tropicali? Grazie ai modelli numerici di simulazione del clima moderni, come quello sviluppato dalla Fondazione Cmcc, che prendono in considerazione diversi scenari potenziali di emissioni di gas serra e restituiscono le relative proiezioni delle condizioni climatiche, è possibile investigare come l’attività ciclonica può cambiare in scenari di clima futuro.
“Quello che si evince dai nostri lavori in Fondazione e dalla letteratura degli ultimi dieci anni è che ci si aspetta, in scenari di clima più caldo, una atmosfera più stabile che inibisce la formazione di sistemi convettivi, quindi una riduzione del numero medio di cicloni tropicali su scala globale. D’altra parte ci si aspetta un aumento dell’intensità degli stessi, facilitato dall’aumento della quantità di calore contenuta nell’oceano. Insomma, se ne formeranno di meno ma più intensi con relativo aumento di vento e precipitazioni associate”, conclude.