Nel 2020 gli incendi nell’Amazzonia brasiliana superano di oltre il 52% la media decennale, e di quasi un quarto (del 24%) quelli degli ultimi tre anni. Nel mese di luglio, l’Istituto brasiliano di ricerca spaziale ha registrato nella sola Amazzonia brasiliana un aumento del 28% del numero di incendi rispetto allo stesso periodo del 2019 (6.803 incendi registrati rispetto ai 5.318 roghi di luglio 2019), principalmente causati dall’impennata dei livelli di deforestazione illegale.
Numeri che, secondo il nuovo report “Fuochi, foreste e futuro: Una crisi fuori controllo?” di Wwf e Boston Consulting Group, proiettano l’Amazzonia verso il punto di non ritorno. Negli ultimi 10 anni, sono stati persi circa 300.000 chilometri quadrati di foresta amazzonica, pari all’intera superficie dell’Italia. Nello stesso arco di tempo sono stati tagliati, andati in fumo o degradati oltre 170.000 km quadrati di foresta primaria, quella più preziosa e ricca di biodiversità, la maggior parte della quale in Brasile.
Già il 2019 era stato un anno durissimo, con 12 milioni di ettari (120.000 chilometri quadrati) di foresta amazzonica andati in fumo. Il tasso di deforestazione, però, è ancora in costante aumento nell’Amazzonia brasiliana, dove da agosto 2019 a luglio 2020 è stato registrato un numero di alert superiore del 33% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Deforestazione e cambiamento climatico stanno spingendo l’Amazzonia verso ‘l’estinzione’. Molti ricercatori sono concordi nel dire che la distruzione della foresta amazzonica si stia velocemente avvicinando ad un punto oltre il quale l’ecosistema, vero e proprio motore della biosfera, rischia di collassare. Questo punto viene chiamato “tipping point”, un punto di non ritorno.
La perdita tra il 20% e il 25% della distesa di alberi porterebbe infatti ad una drastica riduzione delle piogge e dell’umidità cruciali per fare vivere e mantenere la foresta stessa. Un microclima più arido e asciutto innescherebbe inevitabilmente la graduale scomparsa della foresta tropicale, lasciando spazio ad aride savane. L’ecosistema collasserebbe in maniera irreversibile.
Ad oggi la foresta amazzonica brasiliana ha perso il 19% della superficie di alberi presente nel 1970. Continuando con l’attuale trend di deforestazione secondo gli scienziati più accreditati il tipping point sarà raggiunto in 10-15 anni.
La foresta ridotta e degradata è più soggetta ad incendi, alla perdita di biodiversità e perde la capacità di fornirci servizi irrinunciabili: garantire piogge, raffreddare la Terra, assorbire gas serra, immagazzinare carbonio, custodire il 10% della biodiversità mondiale, contrastare la desertificazione, produrre acqua, cibo e medicine; dare casa a comunità indigene senza le quali, spesso, molte aree della foresta amazzonia non sarebbero protette e custodite.
Ma per esistere ha bisogno del vapore e delle piogge prodotti dai suoi stessi alberi: una singola molecola di acqua in Amazzonia, grazie agli alberi, può cadere sotto forma di pioggia fino a 6 volte.
Il Wwf chiede l’attuazione di misure urgenti per far fronte all’emergenza e che fra queste venga immediatamente realizzata una conferenza internazionale per proteggere la foresta Amazzonica, bene imprescindibile dell’umanità.
“Per allontanarci dal punto di non ritorno dobbiamo ottenere norme che impediscano alle aziende di importare beni che hanno determinato la deforestazione – fa sapere il Wwf – dobbiamo fare pressione sulle azioni dei governi, affinché contrastino le pratiche di conversione in pascoli e piantagioni e arrivino ad un’economia a carbonio zero; dobbiamo essere consumatori responsabili e considerare l’Amazzonia come un bene che garantisce l’esistenza della stessa umanità”.
Se non invertiremo la rotta in Amazzonia, ma anche in tutte le foreste del pianeta il rilascio di milioni di tonnellate di anidride carbonica in più causerà conseguenze devastanti a lungo termine.