La biodiversità è a rischio e le infrastrutture verdi, costituite da siepi, boschi, filari di alberi, corsi d’acqua e piccole zone umide, sono un riparo per centinaia di specie viventi animali e vegetali che sopravvivono specificamente in questi microhabitat in buona parte scomparsi dal paesaggio agricolo italiano e non solo. E questa ricca biodiversità naturale nei campi è anche un aiuto a chi coltiva con metodi naturali. Solo nelle 100 aziende agricole biologiche e biodinamiche cerealicole delle 300 totali della rete NaturaSì, la più grande azienda del biologico italiano, gli spazi destinati a queste infrastrutture naturali coprono 3.600 ettari della superficie agricola.
Un piccolo patrimonio di biodiversità che dà rifugio a impollinatori e insetti che contrastano i parassiti delle piante alimentari, come la crisopa, che mangia gli afidi e vive nelle siepi. Un’oasi naturale diffusa grande quanto 3.600 campi da calcio composta da boschi, stagni, alberi in cui sono riapparsi piante e animali che non si vedevano da tempo. Solo per citarne alcuni: il barbagianni, la testuggine palustre europea, la rarissima felce Marsilea. Ma a guadagnarne non è esclusivamente l’equilibrio ambientale e naturale: solo il lavoro degli insetti impollinatori vale nei campi europei 15 miliardi di euro l’anno e garantisce la riproduzione dell’84% delle piante coltivate.
“Lo slogan della Giornata Mondiale della Biodiversità, che si celebra domani 22 maggio, è ‘Our solutions are in Nature‘ e un aiuto alla natura stessa può e deve arrivare dall’agricoltura”, dice Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. “Abbiamo bisogno di un sistema agricolo che rispetti la biodiversità e che dalla biodiversità tragga forza. L’obiettivo nelle 300 aziende agricole del nostro ecosistema è di portare al 15% il totale delle superfici destinate alla presenza di aree lasciate alla natura selvaggia che danno feedback salubri ai campi agricoli che lì intorno vengono coltivati. Tutto si tiene in un equilibrio in cui l’uomo deve ‘solo’ assecondare i ritmi biologici: a beneficiarne siamo tutti, agricoltori e consumatori”.
L’agricoltura può trasformarsi da causa della perdita di biodiversità a risorsa per proteggere la natura e, addirittura, in asset per la produzione. Secondo i dati dell’Ipbes, il panel di ricerca delle Nazioni Unite dedicato alla biodiversità, tre quarti delle terre emerse sono stati significativamente alterati dall’azione umana. Tra le cause maggiormente impattanti sugli habitat ci sono l’agricoltura e l’allevamento industriali.
A livello globale, dal 1970 a oggi, il volume della produzione agricola è aumentato di circa il 300%, ma questo risultato è stato raggiunto senza preoccuparsi del suolo, dell’ambiente, dell’inquinamento e quindi della stessa salute umana. E oggi (sempre secondo i dati delle Nazioni Unite) paghiamo il conto anche a livello economico: il degrado del suolo ha ridotto del 23% la produttività della superficie terrestre globale e fino a 577 miliardi di dollari in colture globali annuali sono a rischio per la scomparsa degli impollinatori.
L’espansione dell’agricoltura industriale, insieme all’allevamento intensivo, è tra i principali motori della distruzione globale delle foreste per liberare suoli da destinare a colture e pascoli e i ricercatori stimano che il 31% delle malattie infettive emergenti, tra cui Hiv-Aids, Ebola e Zika e con estrema probabilità anche Covid-19, siano legate alla distruzione, degradazione e frammentazione di foreste e altri habitat naturali, secondo i dati riportati da Greenpeace.
Ma c’è un’agricoltura che può rallentare l’erosione degli ecosistemi e addirittura curarli. Contribuendo anche attivamente alla conservazione delle specie e degli habitat. “Nelle nostre 300 aziende agricole, oltre alla scelta del biodinamico e del biologico, e quindi al mancato utilizzo di pesticidi e fertilizzanti di chimica di sintesi, si praticano ricche rotazioni colturali, che assicurano una grande varietà di specie coltivate contemporaneamente, e viene promosso l’utilizzo di semi di varietà adatte all’agricoltura biologica” afferma Jori.
“In alcune di queste aziende, inoltre, sono stati avviati negli ultimi anni veri e propri progetti di ricerca per facilitare lo sviluppo delle ‘infrastrutture’ verdi che permettono la vita delle specie animali e vegetali da sempre legate all’agricoltura”.
È stato da poco rifinanziato, per esempio, il progetto europeo “Life Impollinatori” a cui l’azienda del biologico partecipa insieme all’Università di Venezia, alla Regione Veneto, alla Regione Friuli e alla Regione Aragon in Spagna. L’obiettivo è quello di destinare ulteriori 3 milioni di euro alla creazione di zone verdi nelle aziende agricole per aumentare la biodiversità e stimolare l’impollinazione anche attraverso la cura delle api e degli spazi per accoglierle.