“La preparazione nella gestione delle emergenze legate alle tempeste tropicali ha un effetto decisamente importante: essere pronti in termini di infrastrutture e di capacità di previsione è uno strumento che abbiamo e che ci permette di affrontarle meglio. Ma se è vero che siamo sempre più preparati è anche vero che in un contesto di cambiamenti climatici che dovremo fronteggiare queste nostre capacità di previsione potrebbero incontrare nuovi ostacoli”. Enrico Scoccimarro, ricercatore presso la fondazione di ricerca Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc), fa il punto con l’Adnkronos sull’uragano Ida dopo gli effetti della tempesta tropicale su New York e New Jersey.
“Ida è un uragano tipico per questa stagione nell’Atlantico, la caratteristica particolare è che ha raggiunto la categoria 4, una categoria alta in una scala da 1 a 5, con venti fino a 250 km/h. Si tratta di uno dei più intensi mai arrivati sulle coste della Louisiana. Tipico il confronto con Katrina – spiega – Ida era più intenso nel momento in cui ha raggiunto la costa ma questo non significa che i danni siano paragonabili, questo uragano è stato molto meno devastante perché non conta solo la forza dell’uragano ma conta anche la preparazione delle popolazioni che subiscono questi eventi. Con Katrina ci fu un grossissimo problema con la gestione e manutenzione degli argini”.
“Questo uragano ha venti e precipitazioni associate più forti ma ha trovato una popolazione più preparata, soprattutto in termini di strutture e infrastrutture; forse al momento quelle sono tra le coste più pronte a ricevere un uragano di questo tipo avendo vissuto l’impatto di Katrina ma bisogna considerare anche che sono zone in crescita, con aumento dell’urbanizzazione e quindi tendenzialmente più fragili”, rimarca.
Per quanto riguarda New York e New Jersey, “questo uragano non ha colpito queste zone direttamente. Tali aree stanno vivendo in realtà la fase di decadimento dell’uragano, le tempeste tropicali hanno infatti diametro anche fino a 1000 km con precipitazioni ingenti anche nelle parti più lontane dall’occhio del ciclone”. L’evento va dunque spegnendosi, perdendo energia (“la fonte è il calore disponibile nell’oceano”) nel suo cammino sulla terraferma, ma “i danni possono accumularsi, dal momento che la pioggia continuerà per un po’”.
Possiamo parlare di un evento collegato al riscaldamento globale? “C’è sempre la tendenza ad invocare l’evento straordinario, mai vissuto prima, ma bisogna stare attenti ad attribuirlo al cambiamento climatico, perché ci vuole del tempo per determinare se un evento è più probabile in un contesto di clima cambiato rispetto al passato oppure no – osserva Scoccimarro – Per appurare questo si fanno studi di modellistica a posteriori che richiedono tempi lunghi”.
Una considerazione sugli effetti del clima che cambia si può però fare. “C’è un fattore che il cambiamento climatico sta modulando, diverso dal dire che ne è la causa – spiega – Questo uragano è passato su una regione molto calda e la velocità non troppo alta con la quale vi è passato ha fatto sì che l’uragano abbia avuto una rapida intensificazione (si ha rapida intensificazione quando i venti aumentano in 24 ore di 70 km/h). La rapida intensificazione è facilitata dalla permanenza su acque calde a velocità di translazione ridotta. Studi recenti dimostrano che in situazioni di cambiamento climatico c’è la tendenza ad una più rapida intensificazione facilitata dalla ridotta velocità di traslazione del ciclone, che ci si aspetta in un contesto di clima più caldo dipendentemente dalla variazione del gradiente termico meridionale (le zone polari si scaldano più di quelle equatoriali), e dal maggiore calore disponibile in oceano”.
Un aspetto che ci deve far riflettere anche sulla nostra abilità di prevedere questi eventi se andiamo incontro a contesti di clima più caldo perché “la capacità di previsione, enormemente migliorata negli ultimi 20 anni, dipende dalla rapida intensificazione dell’uragano, fattore che inibisce la qualità delle nostre stime circa la traiettoria e l’intensità della tempesta”.