La crisi che stiamo affrontando sembra aver generato, tra i suoi effetti collaterali, un diverso rapporto individuale con la tecnologia. La crescente digitalizzazione in quasi tutti gli ambiti della nostra vita sembra aver cambiato definitivamente il modo in cui ci confrontiamo con una varietà di settori: da quello degli investimenti e della finanza a quello medico, passando per l’intrattenimento e la salute. Ma quali Paesi europei sono più a loro agio a vivere in un contesto di digitalizzazione avanzata e quali sono ancora scettici? E ancora, quali nazioni hanno un alto “potenziale digitale”, e quali cresceranno poco da questo punto di vista?
eToro, portale di investimento multi-asset con 16 milioni di iscritti in tutto il mondo, ha commissionato uno studio al Cebr (Center for Economics and Business Research) per comprendere gli impatti che le tecnologie digitali hanno attualmente in una serie di Paesi europei e la loro capacità di implementazione futura e adozione. Il risultato è il “Digital Transformation Index”, che getta una nuova luce sui livelli di penetrazione digitale e sulla crescita potenziale in tutta Europa. L’Indice classifica nove Paesi europei (Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Spagna e Regno Unito) ed è composto da due sottoindici; il “Digital engagement” e il “Digital Growth”.
Il primo mappa l’attuale penetrazione digitale, mentre il secondo valuta il potenziale di espansione delle tecnologie digitali in futuro. Ciascuno di questi sottoindici è compilato da numerosi indicatori, derivati da una varietà di set di dati pubblici ufficiali, nonché da un’indagine su oltre 18.000 cittadini dei nove Paesi , fornendo così una prospettiva olistica e originale sullo stato della trasformazione digitale in Europa.
La ricerca rivela che, più utilizziamo le tecnologie digitali, più diventiamo capaci e sicuri, il che ne richiede un uso ancora più frequente. Un buon esempio è quello dell’online banking: è la tecnologia con cui gli europei interagiscono più regolarmente, con quasi un quarto (24%) che la utilizza quotidianamente e il 77% che la utilizza almeno una volta alla settimana. Concentrandosi sull’Italia , vediamo che solo poco più di un terzo (36%) degli italiani utilizza l’online banking almeno ogni tre mesi, contro il 91% di Danimarca e Paesi Bassi.
Purtroppo, non si tratta dell’unico indicatore con un punteggio basso: dato che l’Italia si colloca all’ottavo posto sia nel Digital Engagement Index sia nel Digital Growth Index, la posizione definitiva che ottiene è il nono e ultimo posto nella classifica generale della trasformazione digitale. Per molti degli indicatori relativi al coinvolgimento digitale, solo la Romania si attesta a livelli di penetrazione digitale inferiori all’Italia. A differenza della Romania però, l’Italia si colloca in una posizione sfavorevole anche nel Digital Growth Index, il che suggerisce che le prospettive dell’Italia di colmare il divario digitale con gli altri Paesi europei sono scarse. Il fattore principale è l’indicatore degli oppositori al digitale, con il 36% dei rispondenti che concorda sul fatto che resisterebbe all’espansione delle tecnologie digitali sul luogo di lavoro.
Tuttavia, gli europei esprimono disagio per l’utilizzo di soluzioni digitali che non sono ancora ben consolidate. Ad esempio, meno della metà (44%) degli intervistati si sentirebbe a proprio agio nel portare a termine un appuntamento medico di routine tramite videochiamata. In Italia, quasi uno su cinque (19%) prevede di svolgere la maggior parte degli appuntamenti dal medico online, anche dopo la fine della pandemia. Il fatto curioso è che gli italiani con più di 55 anni sono i secondi più a loro agio nella loro fascia di età nei nove mercati europei analizzati con gli appuntamenti medici online. Il 46% degli intervistati ha dichiarato di trovarsi a proprio agio con questa tecnologia.
Ciò indica un circolo virtuoso in base al quale nella tecnologia una maggiore adozione significa maggiori capacità, il che a sua volta promuove tassi di assorbimento ancora più elevati. Gli italiani, in alcune aree, dimostrano di saper sfruttare bene le nuove possibilità offerte dalla tecnologia: quasi tre quarti (73%) affermano che si sentirebbero a proprio agio nel fare acquisti online, anche se le vendite e-commerce hanno pesato solo per il 12% del totale retail fatturato nel 2019 – la seconda quota più bassa tra i Paesi analizzati. Ciò suggerisce che c’è un interesse pubblico per più acquisti online in Italia, nonostante la penetrazione relativamente bassa fino ad ora.
Abbiamo visto che l’Italia occupa l’ultima posizione nella classifica della Digital Transformation, ma quali sono i Paesi europei più “digitali” e quelli con il maggior potenziale di crescita? La Danimarca è in testa alla classifica del Digital Transformation Index, con 58 punti. Il Paese è al secondo posto nella classifica del Digital Growth Index e al secondo posto in quella del Digital Engagement Index, avendo ottenuto un buon risultato per tutti gli indicatori analizzati. La Spagna si colloca al secondo posto nella classifica del Digital Transformation Index. Gli spagnoli intervistati utilizzano una serie di prodotti hardware e software con maggiore frequenza rispetto ai loro omologhi degli altri Paesi analizzati. Tuttavia, le preoccupazioni per le tecnologie digitali sono maggiori in Spagna che in qualsiasi altro Paese. In effetti, il 40% degli spagnoli è estremamente preoccupato per l’uso improprio delle tecnologie digitali nella diffusione di “fake news”, mentre il 35% afferma di essere estremamente preoccupato per i rischi della sicurezza informatica, a mano a mano che aumenta il flusso di dati online.
Con un punteggio di 65 nel Digital Engagement Index, il Regno Unito è in testa alla classifica europea per quanto riguarda gli attuali livelli di penetrazione digitale. I pagamenti con carta sono molto più diffusi nel Regno Unito che negli altri Paesi europei analizzati, e anche l’uso delle piattaforme digitali per scopi educativi risulta maggiore nel Regno Unito. Nonostante la notevole performance registrata nel Digital Engagement Index, un punteggio relativamente debole nel Digital Growth Index porta invece il Regno Unito a collocarsi al terzo posto nella classifica generale della trasformazione digitale.
I Paesi Bassi registrano punteggi solidi sia nel Digital Engagement Index sia nel Digital Growth Index, collocandosi al quarto posto nella classifica del Digital Transformation Index complessivo. L’uso olandese delle piattaforme di digital banking è il più alto tra i Paesi analizzati insieme a quello danese; i Paesi Bassi registrano anche il punteggio più alto nell’uso di internet per l’indicatore dell’informazione sanitaria. La Polonia ha un punteggio di 48 nel Digital Transformation Index, collocandosi tra i Paesi Bassi e la Germania, al quinto posto nelle classifiche nazionali. Sebbene la Polonia sia al terzultimo posto nel Digital Engagement Index, a causa di un uso meno diffuso delle piattaforme digitali rispetto alla maggior parte dei Paesi europei, essa compensa in parte questo risultato con il Digital Growth Index. Il sostegno ad una maggiore digitalizzazione è più elevato in Polonia che in qualsiasi altro Paese analizzato. Ad esempio, l’85% dei polacchi intervistati ha dichiarato che sosterrà una maggiore digitalizzazione nel settore dell’energia e dei servizi di pubblica utilità, un dato che scende all’83% per il settore finanziario.
La Germania, il più grande Paese europeo sia per popolazione sia per produzione economica, presenta risultati relativamente deludenti nel Digital Growth Index. Il livello di sostegno all’aumento della digitalizzazione è più basso in Germania che in qualsiasi altro Paese analizzato, e questo Paese registra anche il punteggio più basso nell’indicatore di maturità digitale. Solo il 48% dei tedeschi intervistati ha dichiarato che si sentirebbe a proprio agio a passare alle piattaforme di online banking, una percentuale che scende al 37% per coloro che si sentirebbero a proprio agio a effettuare un pagamento superiore a 100 Euro con un’applicazione di mobile payment.
Con un punteggio di 45, la Francia si colloca al settimo posto nella classifica del Digital Transformation Index. Mentre registra punteggi elevati negli indicatori degli acquisti online e dei pagamenti digitali, il punteggio relativo al Digital Engagement Index è frenato da livelli relativamente bassi di utilizzo di una serie di dispositivi hardware e applicazioni software. La Francia ha il punteggio più basso nel Digital Growth Index, la causa principale della posizione di debolezza del Paese nella classifica generale della trasformazione digitale. Solo la Germania presenta livelli inferiori di sostegno a una maggiore digitalizzazione.
La Romania mostra un insieme polarizzato di risultati nel Digital Transformation Index, registrando il punteggio più basso nel sotto-indice del coinvolgimento digitale e al contempo il punteggio più alto nel sotto-indice della crescita digitale. Il livello di sviluppo economico della Romania è inferiore a quello degli altri Paesi analizzati. Di conseguenza, la disponibilità di infrastrutture digitali e l’adozione pubblica delle tecnologie digitali sono attualmente più limitate che altrove in Europa. La Romania ha infatti il punteggio più basso in sette dei dieci indicatori che compongono il Digital Engagement Index. Tuttavia, dimostra un potenziale di crescita digitale superiore a quello degli altri nove Paesi. Il suo sostegno all’aumento della digitalizzazione in vari settori è secondo solo alla Polonia. In sostanza, nonostante i livelli relativamente bassi di coinvolgimento nelle tecnologie digitali, la Romania si colloca al terzo posto nell’indicatore di maturità digitale, il che suggerisce che sono presenti sia le competenze sia il sostegno pubblico necessari per guidare l’ulteriore digitalizzazione. Questi risultati evidenziano come, nonostante la Romania si trovi attualmente in una fase meno matura della propria trasformazione digitale, il Paese abbia il potenziale per colmare rapidamente questo divario nei prossimi anni.
Sebbene la ricerca mostri chiare sfide da affrontare, soprattutto in Italia, c’è tanto su cui essere positivi. Un gran numero di tecnologie digitali si è già profondamente radicato nella vita quotidiana delle persone in tutta Europa. La maggior parte degli europei accetterebbe una maggiore digitalizzazione in molti settori dell’economia. Esiste una solida base di sostegno pubblico per l’aumento della digitalizzazione nei settori dell’energia e dei servizi (71%), della finanza (65%) e dell’intrattenimento (64%). Se ci concentriamo sulla finanza, vediamo che più di uno su sette (15%) degli intervistati si aspetta di essere più attivo nell’investire in azioni dopo la pandemia rispetto a prima della pandemia.
Ciò suggerisce che, indipendentemente da come i diversi individui hanno reagito all’incertezza e alla volatilità del mercato durante il COVID-19, gli eventi del 2020 hanno innescato un maggiore livello di interesse nei mercati finanziari in un gran numero di europei.
Questo effetto sembra essere più forte in Italia, con il 20% degli intervistati che si aspetta di essere più attivo nell’investire in azioni dopo la pandemia rispetto a prima. Barbara Alemanni, Affiliate Professor alla SDA Bocconi School of Management e ricercatrice esperta di finanza comportamentale e di Fintech sottolinea che “La rivoluzione Fintech è parte integrante della digitalizzazione dell’economia europea. L’indice di trasformazione digitale presentato da eToro mostra come l’atteggiamento dei consumatori europei verso il digitale stia mutando velocemente, in particolare nell’ambito finanziario. I dati consentono di registrare una forte correlazione tra la familiarità dichiarata e l’uso della tecnologia. L’affordance, parola utilizzata in psicologia e nel design per definire la naturalezza di comprensione di una situazione o di un oggetto, nel Fintech è alta e aiuta a comprendere come le persone si trovino a proprio agio davanti a decisioni complicate come l’investimento o il trading azionario. L’elevata partecipazione al mercato azionario attraverso piattaforme online da parte degli investitori retail cinesi suggerisce la strada che si può delineare anche in Europa e la ricerca condotta da eToro appare confermare questo trend, in particolare in Paesi come l’Italia dove il grado di adozione è più alto”.
Yoni Assia, ceo e co-fondatore di eToro, ha dichiarato: “Il nostro futuro sarà digitale e la stragrande maggioranza concorda sul fatto che la tecnologia renderà le nostre vite più facili. Tuttavia, affinché quel mondo digitale abbia successo, non dobbiamo perdere di vista l’elemento umano al centro di questa trasformazione. Sappiamo che le preoccupazioni relative alla disinformazione e alla protezione dei dati hanno già spinto all’azione schiere di millennial e di appartenenti alla generazione z. Sappiamo che i rischi del digital divide non sono limitati ai singoli, ma a interi Paesi. La fattibilità del nostro futuro digitale dipende quindi dalla nostra capacità di garantire che questo nuovo mondo sia inclusivo, morale e, in ultima analisi, umano”.
L’impatto del Covid-19 Lo studio conferma che la pandemia ha accelerato la trasformazione digitale in tutta Europa, con oltre un terzo (36%) degli intervistati che ha aumentato il proprio uso della tecnologia digitale al di fuori del lavoro. Questi cambiamenti comportamentali sembrano aver determinato cambiamenti a lungo termine nelle preferenze e nelle abitudini, con più di un quarto (27%) che si aspettava che il loro uso delle tecnologie digitali al di fuori del lavoro fosse più alto dopo la pandemia rispetto a prima.
Yoni Assia commenta: “Dal lavoro alla famiglia, dai soldi ai media, il modo in cui ci impegniamo con quasi tutto nella nostra vita è cambiato quest’anno a causa del COVID-19. Il 2020 è stato un anno imperniato sull’accelerazione digitale. Il mondo ha premuto sull’acceleratore e in poche settimane abbiamo abbracciato una tecnologia che altrimenti avrebbe impiegato alcuni anni per pervadere la nostra vita quotidiana “.
Tra gli europei che hanno visto espandere il loro uso delle tecnologie digitali durante la pandemia, la risposta è stata ampiamente positiva. Il 46% ha affermato che l’esperienza ha insegnato loro nuove competenze e un terzo (33%) ha dichiarato che gli ha fatto venire voglia di provare nuove tecnologie. I benefici sono stati particolarmente evidenti per le generazioni più anziane, con il 55% di quelle di età pari o superiore a 55 anni che ha confermato che il maggiore utilizzo della tecnologia ha reso la loro vita più facile. A livello di Paese, l’accoglienza positiva è stata più clamorosa in Polonia, dove il 65% degli intervistati ha convenuto che il maggiore utilizzo della tecnologia ha semplificato la loro vita e il 61% ha affermato di aver imparato nuove competenze.
Mentre la maggior parte degli europei (51%) concorda sul fatto che le tecnologie digitali semplificano la vita e sono generalmente favorevoli all’aumento della digitalizzazione in tutta l’economia, la ricerca rivela disaccordo sul ritmo e sulla portata della trasformazione digitale che da ritenersi appropriata per il futuro. Due europei su cinque ritengono che le tecnologie digitali si stiano diffondendo troppo rapidamente, mentre quasi lo stesso numero (39%) afferma che il ritmo del cambiamento è schiacciante. Questo forse non è sorprendente data l’accelerazione nella trasformazione digitale che abbiamo visto come risultato del COVID-19.
La stragrande maggioranza degli intervistati (97%) nutre qualche preoccupazione per i rischi del crimine informatico per la mole sempre maggiori di dati e attività che vengono spostati online. Oltre un quarto (27%) ha indicato di essere estremamente preoccupato. Anche le implicazioni sociali legate alla tecnologia digitale pesano molto sulle menti di molti europei. Infatti, il 96% degli europei è preoccupato per l’uso improprio delle tecnologie digitali per diffondere notizie fuorvianti o errate. Sebbene il potenziale di diffusione di fake news tramite le tecnologie digitali sia una preoccupazione significativa in tutti i Paesi analizzati, questi timori sono più pronunciati in Spagna, con il 40% degli intervistati spagnoli che afferma di essere estremamente preoccupato per questo problema. La preoccupazione sulla diffusione di fake news riguarda invece il 61% degli italiani.