SUDeFUTURI, dibattito su capitale umano e innovazione per uscire da crisi

Capitale umano e innovazione per uscire dalla crisi. Questo l’argomento affrontato in occasione di #UNLOCK_IT, seconda edizione di SUDeFUTURI, organizzato dalla Fondazione Magna Grecia, in corso della diretta streaming dal Palazzo dell’Informazione di AdnKronos, in piazza Mastai a Roma. “La pandemia – fa notare il vice direttore del Quotidiano Nazionale Angelo Raffaele Marmo – si sta rivelando anche un’occasione di fortissima innovazione non solo sul fronte del vaccino, ma anche per imprese tecnologiche come le vostre e di transizione verso il digitale, il green, lo smart working e quant’altro. Stesso discorso vale per il capitale umano e l’innovazione che sarà richiesta nell’era in cui viviamo”. 

Per il direttore sostenibilità e affari istituzionali Enel Italia, Massimo Bruno, la spinta verso l’innovazione “per noi non è stata una novità, eravamo già su questa direttrice da 5-6 anni perché c’è stato un cambio di paradigma nel settore dell’energia, che oggi si concentra su piccoli impianti più vicini alle comunità. Era già iniziata una rivoluzione, di cui Enel, dunque l’Italia, è stata l’antesignana. Siamo stati fra i primi che hanno deciso di uscire dal carbone, puntare sulle rinnovabili, nonostante le altre grandi aziende ci guardassero con sospetto”.  

Per questo, “il periodo del Covid non ci ha colto impreparati, non abbiamo avuto difficoltà nello smart working, su cui si dovrà fare una riflessione e introdurre delle regole in futuro. La digitalizzazione sta cambiando molto il rapporto tra i lavoratori, tra i dipendenti e la propria azienda e questo ci porterà anche a rivedere il tipo di professionalità necessarie nelle singole realtà”. All’orizzonte, sottolinea Massimo Bruno, c’è un periodo di grandi trasformazioni, in cui grandi realtà come Enel dovranno sostenere anche piccole e medie aziende, che sono l’ossatura dell’economia italiana, ad avviarsi sulla strada dell’innovazione e della digitalizzazione”.  

Sulla stessa linea Luca Piccinelli direttore marketing di Huawei Italia, per il quale “lo smart working, the health, la salute, che come elemento smart anche in questo momento di pandemia può rilanciare il Paese, vanno utilizzate nel miglior modo. Il 5G, gli industry 4.0, i milioni di oggetti connessi con internet, permettono ormai una connettività capillare. Nelle nostre analisi, nei prossimi cinque anni vediamo un’opportunità su 5G e industry 4.0 di generazione a livello mondiale di oltre 11 milioni di nuovi posti di lavoro. Quindi se ci sarà una riduzione di posti di lavoro in alcuni settori, ci sarà un avanzamento di altri, legati all’evoluzione tecnologica. Vedo una catena del valore che arriva a superare 1.8 trilioni di dollari”.  

“L’Italia – precisa – è partita con una marcia velocissima sullo sviluppo del 5G, tre anni fa sono iniziati i primi trial, che hanno visto in due dei tre Huawei come protagonista – a Milano con Vodafone, a Sud con Telecom – che hanno sviluppato non solo capacità locali, soprattutto al Sud, di trasformazione digitale con oltre 70 casi d’uso di 5G e 4.0. Poi però ci siamo poi arenati sull’implementazione, probabilmente anche a causa degli investimenti più limitati dei Paesi più piccoli,pensiamo agli investimenti immensi di Stati Uniti e Russia, e a una guerra geopolitica che si è generata. Il tema della sicurezza è uno dei principali in un momento in cui l’importanza dei dati è fondamentale, ma deve essere considerato dal punto di vista tecnologico. Se viene burocratizzata e usata come intralcio per lo sviluppo economico, può portare a dei ritardi. Mi riferisco al fatto che l’Italia è l’ultima nel club dei Paesi 5G, ma anche l’Europa”.  

“Ci aspettiamo ora – avverte – un maggiore impegno nella digital transformation. E’ in arrivo una nuova legge, quella del perimetro della sicurezza cibernetica che metterà tutti i produttori e costruttori di tutto il mondo sullo stesso piano e quindi rilancerà anche l’Europa. I dati vengono gestiti soprattutto dagli operatori che hanno il controllo, quello che fa Huawei è contribuire al massimo nella produzione seguendo degli standard internazionali, con investimento in ricerca e sviluppo con percentuale a due cifre e dunque può solo dare un beneficio allo sviluppo dell’Europa e dell’Italia. Chiaramente la pandemia dà delle opportunità di sviluppo, mi riferisco agli health cioè la capacità in tempi rapidi e con una latenza bassissima di fare degli interventi chirurgici a distanza o mi riferisco alla possibilità di costruire in tre-quattro giorni degli ospedali in green field come accaduto in Cina. Sono nuove opportunità di sviluppo e di lavoro”.  

“Mai come oggi è necessario discutere della necessità di sbloccare, di liberare le energie e le potenzialità che nel nostro Paese ci sono, sia dal punto di vista del capitale umano, che è una delle forze propulsive su cui possiamo fare affidamento, sia dal punto di vista dell’innovazione, dunque delle grandi opportunità che il digitale ci offre” fa notare Michelangelo Suigo, direttore relazioni esterne e comunicazione Inwit. 

“La seconda ondata del Covid – commenta – ha riportato il Paese nell’emergenza sanitaria e ha obbligato gran parte della popolazione a tornare alle pratiche di questa primavera, per cui il new normal è ormai lo smart working per chi lavora, la dad, la didattica a distanza per gli studenti. Questo sta generando un aumento esponenziale del volume dei dati che non è sempre supportato da una connessione stabile, veloce, diffusa in maniera omogenea. Quindi la crisi ci spinge verso il digitale e ci fa rendere conto di come questo rappresenti un insostituibile alleato per gestire la crisi stessa e provare a mitigarne le conseguenze, contemporaneamente però cresce la consapevolezza che il Paese non è sufficientemente attrezzato per traghettarci tutti verso la stretta attualità digitale. L’Italia è al 25mo posto su 28 in Europa per livello di digitalizzazione”.  

“Però – fa notare – c’è un altro elemento importante. Secondo l’Ocse, in Italia c’è un alto grado di analfabetismo funzionale unitamente all’analfabetismo digitale. Anche la bozza del governo del piano strategico sottolinea ed evidenza il gap del nostro Paese in termini di capitale umano e innovazione digitale. E’ evidente che ci sarebbe necessità di fare un salto sull’evoluzione digitale e tutto questo probabilmente è possibile con una forza lavoro che sappia, da un lato sfruttare a pieno le potenzialità delle nuove tecnologie e dall’altro che sia in grado di adeguarsi alle trasformazioni così tumultuose e così rapide dell’economia mondiale. Però è chiaro che conoscenze e competenze hanno bisogno di imprese dinamiche e competitive, in grado di raccogliere le sfide che vengono poste da globalizzazione e innovazione. Come Inwit cerchiamo di fare la nostra parte. Siamo i proprietari di 22mila torri e di migliaia di microcoperture dedicate e abbiamo un piano industriale di realizzazione di infrastrutture a servizio e a supporto degli operatori. Cerchiamo di fare la nostra parte anche sul fronte del capitale umano, sia dal punto di vista del tema occupazionale sia dal punto di vista della carenza di competenze digitali”.  

Saverio Romano, vicepresidente Fondazione Magna Grecia, afferma che “le aziende investono molto poco in ricerca e sviluppo perché si fa presto a parlare della politica e delle istituzioni, ma chi oggi sta traendo maggiore beneficio dalla crescita, non soltanto digitale, sono le aziende che si occupano di innovazione. Ma rispetto a questo, io vedo quasi il timore di mettere su dei veri e propri incubatori di sviluppo, di formazione per i giovani per fare in modo che queste aziende stesse abbiano un bacino a cui attingere. Mi sembrano tutte più concentrate a vendere di più che a crescere, mi sembrano più concentrate a promuovere il loro prodotto anziché approfittare di questa straordinaria occasione per agire in funzione di sussidiarietà con le istituzioni”.  

“La tragedia della pandemia – continua – è un’occasione per chi vuol incamminarsi con criterio verso un nuovo sistema di relazioni, non solo nel mondo del lavoro. Ma per farlo bisogna mettere risorse nella formazione. Perché quando si parla di capitale umano bisognerebbe ricordare che si tratta di conoscenze e competenze acquisiti. I talenti anche se ci sono vanno allenati e noi siamo in grave ritardo. C’è una Pubblica amministrazione che da questo punto di vista arranca, che non ha la formazione per utilizzare sistemi come lo smart working richiede. Questo momento straordinario che si accompagna ad uno straordinario intervento dell’Unione europea dovrebbe essere occasione per superare quel gap straordinario che c’è sempre stato tra il Mezzogiorno e il Nord del nostro Paese. Un Mezzogiorno che non ha vissuto crescita industriale ha la possibilità che il potenziale umano diventi capitale umano, diventando la piattaforma digitale del Mediterraneo. Ma nel recovery plan non c’è alcun progetto al riguardo”.  

Per Romano “manca una visione strategica”. E poi sottolinea “da 30 anni nel nostro Paese non si fanno progetti, sono stati usati progetti di sponda. Le grandi aziende di Stato, che avevano dei progetti li hanno messi a disposizione delle realtà locali e finanziati con fondi dell’Unione europea, però è mancato quel circuito virtuoso che avrebbe dovuto portare queste grandi aziende a restituire sul campo magari altri progetti. Quindi, grande responsabilità è anche della politica che si è voluta deresponsabilizzare non sapendo, o meglio facendo finta di non sapere che le nostre infrastrutture non erano in grado di rispondere a ciò che ci veniva chiesto dall’Ue per avere i progetti finanziati e per poterli finanziare. L’Italia è un Paese di grandi consumatori di innovazione, ma sono poche le aziende che fanno innovazione. La struttura economico-sociale è formata soprattutto da piccole e medie imprese, che per lo più sono imprese familiari che fanno innovazione per rispondere a dinamiche aziendali interne, non ad una richiesta di mercato, non sanno di fare ricerca e sviluppo e non lo fanno in maniera coordinata. Bisognerebbe sostenere questa realtà e sarebbe utile anche alle grandi aziende che non hanno la capacità di penetrare il territorio come le piccole realtà, che sono la spina dorsale del nostro Paese”.