La ristorazione collettiva, che opera in tre grandi ambiti l’aziendale, lo scolastico e il socio sanitario, rischia la sopravvivenza e senza sostegni e pianificazione sparirà entro il 2022. E’ infatti uno dei settori più colpiti dagli effetti economici della pandemia covid-19 secondo quanto rileva la seconda indagine di Oricon-Osservatorio Ristorazione Collettiva e Nutrizione anticipata all’Adnkronos. 

Nel 2020 il settore registra un calo complessivo dei ricavi e del volume di vendite di circa un terzo, equivalente a -1,4 miliardi di euro e 292 milioni di pasti in meno rispetto al 2019. Dall’indagine emerge come i segnali di ripresa, attesi dopo la fine del lockdown, si siano rivelati deboli e insufficienti: nel bimestre maggio-giugno, nonostante la parziale riapertura di molte attività, i ricavi delle vendite sono stati meno della metà di quanto incassato nell’analogo periodo del 2019, dopo il drammatico tracollo di marzo-giugno in cui il settore aveva segnato un -66%. 

Gli ambiti più colpiti sono quello aziendale, che chiude l’anno a -40% pari a -500 milioni , e soprattutto quello delle mense scolastiche a -51% pari a -700 mln di euro, sull’anno precedente.  

Tuttavia, se il comparto che appare più duramente colpito dalla crisi è quello scolastico, gravato dall’interruzione, senza ripresa, delle lezioni nel mese di marzo 2020, il settore dell’aziendale, pur registrando un timido miglioramento dovuto al parziale rientro dei lavoratori delle imprese e della pubblica amministrazione, è quello che più di altri rischia di essere cancellato se le aziende dovessero decidere di ricorrere in maniera permanente allo smart working. Indicativa anche la situazione del socio sanitario, dove l’andamento incerto deriva dalla lenta riorganizzazione dei servizi. 

“I dati di questa nuova indagine forniscono e confermano una prospettiva inquietante: entro il 2022 il settore rischia di non esistere più – spiega Carlo Scarsciotti, presidente dell’Osservatorio Oricon – nei primi otto mesi dell’anno le aziende della ristorazione collettiva hanno registrato un crollo del fatturato di oltre il 37%, per un valore di oltre 1 miliardo di euro e 210 milioni di pasti in meno rispetto allo stesso periodo del 2019; la ripresa è debole e minata da un futuro in remoto. In ballo però ci sono competenze, professionalità e posti di lavoro”. Nei primi giorni di settembre, ancora oltre 39.000 lavoratori erano in cig, pari al 40% della forza lavoro. 

La necessità di riorganizzare il servizio con l’istituzione dei doppi turni, l’adozione di nuove modalità di somministrazione e l’impiego di dispositivi di protezione individuale e gel igienizzanti hanno inciso in misura considerevole sui costi sostenuti dalle aziende del settore della ristorazione collettiva, e quindi delle mense aziendali, scolastiche e socio-sanitarie: si parla di 80 centesimi di euro a pasto in più, pari a +21,5% sul totale dei costi unitari, con variazioni dei costi tra il Centro-Nord e il Sud, emerge dall’indagine. 

Nel dettaglio, rispetto all’era pre-covid, nella ristorazione scolastica si stima che: l’incidenza del costo del lavoro sia cresciuta del 7% in media sul totale dei costi sostenuti per ogni pasto. L’incidenza del costo sostenuto per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, gel igienizzanti, materiale disinfettante, e altro materiale grava sulle aziende per il 14% in più, equivalente a circa 50 centesimi a pasto. L’aumento dei costi e l’erosione della marginalità hanno costretto le aziende a rinegoziare i contratti nel settore della scuola e in quello aziendale per circa il 70% del valore delle vendite. 

“Temiamo che l’evolvere della seconda ondata pandemica metta il settore in ginocchio più di quanto lo sia già ora. Sono urgenti un dialogo chiaro e un sostegno concreto da parte del Governo e delle istituzioni. Il tempo passa, le risposte non arrivano e noi rischiamo di scomparire”, afferma Scarsciotti.