Carlo Capasa ha le idee chiare: “Per superare indenni questo momento servono misure specifiche per la moda, un piano Marshall”. Poi, senza fare troppi giri di parole, il presidente della Camera nazionale della moda italiana snocciola numeri che fanno tremare i polsi: “Abbiamo una perdita stimata tra il 27 e il 30% per il 2020 sui nostri quasi 100 miliardi di fatturato – spiega all’Adnkronos – e in questo scenario non era previsto un nuovo lockdown prima di dicembre. Ora dipende da cosa si intenderà per lockdown, perché se fosse a livello industriale sarebbe un disastro epocale”.
Il settore della moda italiano in questo momento sta affrontando problemi di non poco conto, su vari fronti: se da una parte il comparto ha dovuto gestire il calo di produzione dei mesi scorsi per la crisi dovuta dal coronavirus, dall’altro c’è quello dello shopping, in brusca frenata, per via dell’assenza di turisti. Ora a far paura è lo spettro di un nuovo lockdown generalizzato, con tutte le conseguenze che uno scenario del genere potrebbe comportare.
“Con un lockdown dell’industria del fashion – osserva Capasa – non riusciremmo a consegnare la primavera-estate, non sarebbe neanche pensabile. Anche un lockdown a livello di retail sarebbe un gran colpo perché rischierebbe di colpire la catena che in Italia è molto forte e che già rischia di perdere per strada un 30% di punti vendita, quindi c’è da fare molta attenzione”.
“Dobbiamo pensare a misure più mirate – ragiona il numero uno di Cnmi – con l’osservanza da parte di tutti delle regole. Nei negozi abbiamo adeguato gli impianti di aria condizionata, ci sono dipenser, si misura la temperatura, si indossano le mascherine: dobbiamo cercare di convivere con questo virus per non distruggere il tessuto sociale e l’economia, non servono lockdown indiscriminati ma misure specifiche negli ambienti in cui si potrebbe sviluppare una forte accelerazione della pandemia”.
Da parte del governo, però, poco e niente è stato percepito poco della serie di proposte di interventi di aiuto al sistema avanzate dalla Camera della Moda. “L’esecutivo – spiega Capasa – ha scelto come strategia quella di ascoltare l’industria in maniera orizzontale. Significa che non si è andati in fondo sulle singole industrie e quella della moda ha delle peculiarità specifiche. La moda è fatta di piccoli artigiani e di grandi industrie, se non si capisce che è strettamente connessa all’industria del commercio, al terziario e ai servizi rischiamo di non fare delle misure che funzionano veramente”.
Eppure le richieste di Cnmi erano chiare: “Avevamo avanzato misure specifiche per la moda ma di specifico abbiamo visto nulla – rimarca Capasa -. Sono state adottate tutte misure generiche che non hanno realmente risolto il problema. L’unica cosa positiva sono state le regole che consentono all’industria di rimanere operativa contrastando al tempo stesso la diffusione del virus. Però, né ristoro né l’accesso al credito sono fruibili”.
Quello che Capasa invoca da mesi è un tavolo per discutere delle singole misure. “Ora ne presenteremo altre per il Recovery fund – annuncia -. Il concetto è discutere di misure che siano effettive e applicabili. Dobbiamo cercare di capire cosa fare realmente per avere un effetto concreto sulla moda. Se la moda perde il 30% significa che perde 30 miliardi di euro, praticamente il valore di due o tre altre industrie italiane. Io avevo detto ‘sediamoci e facciamo un discorso serio’ sennò serve un piano Marshall per la moda. La moda è la seconda industria italiana, per salvare alcune realtà della filiera si può fare molto di più, anche con un occhio al futuro”.
Nella fattispecie, “da un lato dobbiamo superare indenne questa pandemia – osserva ancora Capasa – e dall’altro capire come far recuperare velocemente i fatturati a questo fattore. Inoltre, si può approfittare della situazione per modernizzare alcuni dei processi dell’industria. Penso a investimenti seri sulla sostenibilità, sui i temi di economia circolare, sulla digitalizzazione interna delle aziende, sulla formazione. Serve un fondo ad hoc ma deve essere strutturato in modo che funzioni”.
Su futuro del fashion tricolore, Capasa sembra comunque ottimista, soprattutto guardando ai Paesi che come la Cina sono stati duramente colpiti e ora mostrano segnali incoraggianti di ripresa: “Ci sono alcune aree del mondo in cui la ripresa c’è e si vede – spiega – a partire dalla Cina e dal Far East. Anche la Corea è un altro mercato che si sta riprendendo bene. In Europa bisognerà capire invece cosa succede, bisognerà concentrarsi sui mercati che funzionano. Con la nostra tipica resilienza italiana che ci permette di affrontare le crisi bisognerà prendere il meglio dalle aree in cui la ripresa oggi c’è”.
Nel Vecchio Continente, oltre al Covid, c’è poi il discorso Brexit. “E’ una grande incognita – sottolinea il presidente di Cnmi – vari aspetti preoccupano. Probabilmente nei primi mesi del 2021 avremo le dogane intasate. Nel settore della moda esportiamo in Gb 3,5 miliardi l’anno. Come ha ricordato Adam Mansell, il ceo della Fashion&Texile Association Uk, sarebbe stato difficile essere pronti alla Brexit senza Covid ma con il Covid è catastrofico. Per i cittadini britannici la nostra merce costerà di più, rischiamo di ridurre le vendite”.
Sul fronte import, stando ai dati del 2019, l’Italia importa dal Regno Unito 630 milioni l’anno. “Ma alcune categorie del tessile – avverte Capasa – diventeranno più costose anche per noi. L’impatto sarà abbastanza forte soprattutto sul consumatore e diminuirà il volume di scambi tra questi Paesi, noi saremo molto penalizzati”.
Per quanto riguarda invece le sfilate, visto il successo della formula ‘phygital’ adottata nell’ultima edizione di Milano Moda donna, Capasa spiega: “Ora, vista la situazione, non abbiamo alternative al digital, per questo è nata l’idea a luglio. Credo che il digitale avrà sempre un peso importante. Basti pensare che a settembre abbiamo avuto 45 milioni di visualizzazioni sulla nostra piattaforma di sfilate, significa che una grande community si avvicina alla moda e non possiamo ignorarla. Il digitale rimarrà ma vedremo come sarà in futuro. Più potremo viaggiare e girare più le sfilate saranno fisiche ma il connubio fisico-digital credo sia quasi indissolubile”.
Certo è che il peso che avrà il digitale dipenderà dall’evoluzione della pandemia. “Il touch and feel è indiscutibile e ha un valore forte, soprattutto per gli addetti ai lavori – fa notare Capasa -. E’ indubbio che il digitale non potrà sostituire il fisico ma non escludo momenti dedicati al consumer e alla vendita nei negozi in modo digitale. Questo comunque lo vedremo a partire dalla stagione 2021-2022”. (di Federica Mochi)