Prospettive incoraggianti per il futuro economico dell’industria alimentare italiana alle prese con l’emergenza legata alla diffusione del Coronavirus. almeno per alcuni settori come l’industria molitoria e le imprese del Mezzogiorno, che dimostrano un buona capacità di resistenza, e più in generale quasi la metà (42%) dell’agroalimentare. E’ il sorprendente risultato del Rapporto Ismea per Federalimentare condotto sui bilanci di 6.400 imprese dell’alimentare made in Italy.
Attraverso l’esame degli indicatori di redditività, solvibilità e solidità finanziaria, Ismea ha analizzato la vulnerabilità alle crisi di uno dei settori più rilevanti per la struttura economica del Paese, che si dimostra molto dinamico, robusto e resiliente di fronte alle difficoltà: infatti, il 42% delle imprese agroalimentari italiane presenta caratteristiche tali da garantire una buona capacità di tenuta anche in situazioni di crisi shock come quella cui stiamo assistendo.
A questo ‘nocciolo duro’, si affianca un’ampia area produttiva (36%) – definibile come ‘terra di mezzo’ – con qualche problema di liquidità e/o esposizione debitoria che potrebbe degenerare per gli effetti dell’emergenza Covid-19. Più preoccupante la situazione del 21% del campione, ‘ventre molle’ del sistema agroalimentare italiano, con un alto livello di vulnerabilità.
A livello settoriale, i comparti con una quota maggiore di imprese “ad alta resistenza” sono l’industria molitoria (il 63% delle imprese ricade in questa categoria), il settore dei liquori (59%), della cioccolateria e del caffè e tè (entrambi attorno al 53%). All’opposto, il quadro peggiore si ha nei settori della birra e dell’olio di oliva dove, rispettivamente, il 38% e il 34% delle imprese si colloca nell’area più critica.
A contribuire alla capacità di tenuta del sistema è anche la dimensione aziendale: più di un quarto delle imprese fino a 9 dipendenti presenta elementi di vulnerabilità (27%), percentuale che si riduce sensibilmente nelle imprese più grandi, scendendo al 9% in quelle con più di 250 addetti.
Altro segnale confortante, dunque, viene dalla stima delle differenze nel grado di resistenza alle crisi a livello territoriale; nel Mezzogiorno l’area delle imprese maggiormente robuste è più ampia (45%), sia pur di poco, di quelle del Centro-Nord (42%). Interessante anche il dato sull’età media delle imprese del campione, che mostra un sistema agroalimentare basato sulla tradizione: in generale, le aziende analizzate hanno una storia di più di una generazione e sono state costituite mediamente da 26,5 anni. Di contro però, sono state le imprese sotto i 5 anni di vita a essere maggiormente interessate da un andamento positivo di fatturato: nonostante le dimensioni economiche ridotte, hanno incrementato i loro ricavi medi di oltre il 30%.