Coronavirus, il plexiglass per le barriere sta finendo

L’Inail chiede di introdurre barriere in plexiglass sui luoghi di lavoro al ritorno dal lockdown, ma il plexiglass non c’è. O almeno, se ne trova sempre meno sul mercato e i Paesi che lo producono cominciano a tenerselo per sé. Tanto che chi lo fabbrica avverte: servirebbe poterne produrre dieci volte tanto. Chi lo lavora da tempo e chi ha appena iniziato, riconvertendo l’azienda all’economia di guerra da covid19, tra parafiati e paraventi, ammette che il polimetilmetacrilato – è questo il suo vero nome – comincia a scarseggiare, anche all’estero.  

E’ più difficile ottenerlo anche dalla tedesca Rohm, che lo commercia da quasi un secolo, nonostante l’aumento della produzione annunciato dalla società l’8 aprile proprio per far fronte alle richieste. In vista della fase 2 e dello scenario di negozi, uffici, bar e ristoranti pieni di barriere e pareti temporanee per proteggersi dal virus, le aziende ne hanno fatto incetta e le case produttrici non stanno dietro alle richieste.  

“Abbiamo la produzione di lastre impegnata fino ad agosto e non si può raddoppiare perché i procedimenti sono complessi. Anche i nostri concorrenti sono nella stessa situazione”, spiega all’Adnkronos Antonella Annunziata, amministratore delegato di Madreperla, il più grande produttore italiano di lastre in plexiglass, che ogni anno sforna 7mila tonnellate di materiale. “La situazione è tale che se potessimo produrne dieci volte tanto lo venderemmo”. 

Il plexiglass, che costa circa dai 50 ai 60 euro al metro quadro, “è una plastica nobile, la più pregiata e la più costosa sul mercato. In più, ha delle caratteristiche eccezionali, come quella di essere riciclabile al 100%”, spiegano dalla Temaplex di Legnano (Milano), che dai ‘fogli’ realizza pannelli e oggettistica da diverso tempo.  

“Noi compriamo 50 lastre alla volta, sono investimenti da milioni di euro all’anno”. E oggi le scorte in magazzino cominciano a scarseggiare. “E’ l’oro del momento. Anche la Germania inizia a tenerselo per sé”. Lo stesso scenario vale per le altre materie plastiche trasparenti da cui si possono ottenere parafiato: policarbonato e polistirolo compatto. 

Il rischio, come per le mascherine, sono le speculazioni: “Sta già accadendo. Noi – spiegano sempre dalla Temaplex – teniamo un prezzo quasi politico. A seconda della grandezza, vendiamo parafiati dai 50 agli 80 euro. E’ questo il loro valore, chi lo vende a un prezzo più alto sta speculando”.  

Produttori come Madreperla hanno aumentato i prezzi del materiale del 3-4%, “ma solo per i rallentamenti nella produzione per l’applicazione dei protocolli di sicurezza, tra sanificazioni e mascherine”. Ai più piccoli produttori di lastre e semilavorati dalla materia prima, come la piccola Stilform di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), dieci dipendenti, sono iniziate ad arrivare richieste anche dall’estero.  

“Siamo inondati di richieste, ora anche dall’estero, ma riusciamo a produrre 500 fogli al giorno, non di più. Non ce n’è tanto in giro e la domanda è più che raddoppiata”, spiega la sua titolare, Marilena Lorenzetti. In Italia, non ci sono molti produttori di plexiglass. “Ci sono sette produttori in tutto di lastre acriliche, molto specializzati, ma fanno per lo più lastre speciali o lastre spesse”.  

Quelle che vanno per la maggiore sono quelle sottili pochi millimetri, le producono in pochi, e anche per questo non c’è un’offerta che soddisfi la domanda. I ‘giganti’ del Plexiglass sono in Europa: la multinazionale Perspex, del gruppo 3A (ex Lucite) e la francese Arkema, che ha una sede nel milanese, a Rho, oltre alla già citata Rohm, che a detta sia di Stilform che di Temaplax, “è quella da cui arrivano i maggiori rifornimenti in Italia”.  

Il problema è che è difficile mettersi a fare del plexiglass se finora si è lavorato il legno o materiali diversi dalle plastiche. “Ci vogliono macchine specifiche, procedimenti costosi e rigorosi. Non ci si può improvvisare”, spiega ancora Annunziata. Tanto che un’azienda come Eurostands, che faceva allestimenti fieristici e si è da poco convertita alle barriere di plastica, è convinta che il materiale del futuro sia il vetro. Per altri è improbabile: il vetro è più caro, più pesante, più difficile da lavorare e, non un dettaglio da nulla, non è infrangibile. 

di Vittoria Vimercati