Galli: “Misurare febbre a casa scorciatoia senza garanzie”

“La misurazione della febbre a mio avviso non può essere fatta solo a casa. Andrebbe effettuata anche a scuola e lo ripeto da tempo. Dire di farlo a solo a casa è una scorciatoia, non dà le stesse garanzie e scarica sul genitore, sull’utenza, tutta una responsabilità e funzione che credo vada condivisa e non attribuita”. E’ il monito di Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco-università degli Studi di Milano, sentito dall’Adnkronos Salute.  

Il tema è caldo, e preoccupa i genitori che dovranno armarsi di termometro e pazienza ogni mattina e vivere con l’ansia che ogni giorno possa attivarsi la macchina che porta alla quarantena. Sul fronte scientifico si dibatte anche sulla validità della soglia d’allarme fissata a 37,5 gradi di temperatura. Per Galli, “con questi chiari di luna, stabilire le cose con certezza ha un senso limitato, tenendo conto che parliamo di una malattia che in una parte dei casi – almeno il 30% – è del tutto asintomatica. La misurazione della febbre è una parte del tutto e in fin dei conti forse definire se la soglia è 37 o 37,5 può essere meno importante, anche se condivido le perplessità”, espresse per esempio dal virologo Andrea Crisanti.  

“Un abbassamento a 37 sarebbe da prendere in considerazione – ragiona Galli – ma implicherebbe di trovarsi a considerare sospette una quantità enorme di infezioni non ‘vere’. C’è dunque una posizione intermedia di buonsenso: lasciamo 37,5 come soglia ma, considerando che ci sono casi addirittura senza febbre, diventa importante valutare le situazioni, per esempio la presenza di qualche fratello o di qualcuno in famiglia con la febbre o altri sintomi. Andrebbero poste domande. Quello che è certo è che tutto questo apre uno scenario assai complicato”.  

Ridurre la quarantena sì o no? Se è solo una questione di durata, “la trovo una soluzione puramente burocratica. Se è un accorciamento della quarantena con tampone, mi sta bene”, replica Galli. Per l’esperto al termine della quarantena accorciata andrebbe eseguito un tampone, “a patto ovviamente che l’esame non abbia una risposta dopo tanto tempo, tale da annullare il vantaggio temporale”, puntualizza all’Adnkronos Salute. 

La sua idea è in linea con quella espressa anche dal viceministro Pierpaolo Sileri (che ha definito un “buon compromesso” la formula “quarantena di 7 giorni e tampone”). Quella dei 14 giorni, ricorda Galli, “è stata un’invenzione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per dare un’indicazione in assenza di test e tenendo conto che molti Paesi non potevano sostenere i test”.  

Ora, conclude, “si può fare meglio, ma si deve passare per i test. Si aprono scenari nuovi con quelli rapidi. Resta il fatto che, anche se si parlasse di test tradizionali, i risultati devono essere rapidamente comunicati. Non si può avere una risposta dopo 4 giorni per intenderci, non avrebbe più senso”.