L’ex medico scolastico: “Sarà un anno difficile”

“Sarà un anno critico” quello che si sta per aprire con il ritorno fra i banchi di scuola in tempi di Covid-19. “Quante volte si attiverà la procedura prevista per i casi sospetti? Nei primi anni di scuola il bambino si ammala infinite volte. Non so come si possa gestire una cosa del genere. Ma se, forse, reintrodurre il medico scolastico potrebbe non essere necessario, riprendere il concetto di educazione sanitaria nelle scuole quello sì, potrebbe avere un senso”. Ne è convinta Laura Bertolotti, 61 anni, pediatra con un passato da medico scolastico, funzione esercitata in scuole materne dell’hinterland milanese dal 1986 al 1996.  

“Il problema – spiega all’Adnkronos Salute – è: quanti ne incontreremo con raffreddore o febbre? Con l’ipotesi coronavirus Sars-CoV-2 si attivano le procedure e la questione passa al referente Ats, non credo che il medico scolastico possa essere un valore aggiunto. Ma fornire educazione sanitaria ai genitori a mio avviso può essere utile”, riflette l’esperta che nelle vesti di medico di supporto per un asilo nido privato di Pavia ha svolto anche questa attività. “Potrebbe avere un senso che l’Ats si attivi con medici referenti che vadano a parlare agli studenti e anche ai genitori in maniera capillare. Per esempio – osserva – contro i virus respiratori abbiamo un’arma tanto potente quanto sottovalutata: lavarsi le mani. E’ un gesto semplice con il quale si risolvono tantissimi problemi”. 

Ma in realtà “non entra molto nella mentalità delle persone. Eppure è molto semplice educare anche i bimbi” su una corretta igiene delle mani. “Raggiungere con questo messaggio i genitori, consigliando loro di farlo in tante occasioni per se stessi e per i loro piccoli, potrebbe aiutare. Vanno dati degli input, poche informazioni precise. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità non fa che ripetere che una delle misure più importanti per la prevenzione di infezioni delle alte vie respiratorie è lavarsi le mani. A volte uno le pensa tutte e poi una cosa semplice come questa, il più delle volte dimenticata, può fare davvero la differenza”. Insegnando ai più piccoli come farlo, strofinando accuratamente palmi, dorso, dita delle manine e risciacquando bene.  

“Spero e confido che Sars-CoV-2 non abbia la virulenza avuta in passato – continua Bertolotti – Forse ha un razionale vaccinare per l’influenza tutti i bambini, non solo quelli a rischio. Aiuterebbe a scremare le ipotesi”, facilitando la diagnosi differenziale per Covid. “Certo mi rendo conto della difficoltà della situazione. Non c’è una bacchetta magica per risolverla”. Ma dell’educazione sanitaria “c’è bisogno – sottolinea la pediatra – anche perché oggi c’è un bombardamento di informazioni, i genitori spesso trovano sul web tutto e il contrario di tutto e restano spaesati”.  

“Avere un’informazione medica corretta, con fonti verificate potrebbe essere d’aiuto. Penso all’educazione alimentare, o alle vaccinazioni, ma anche alla prevenzione degli incidenti domestici (per esempio contro i soffocamenti le manovre basta farle vedere una volta e restano impresse)”. Consigli per affrontare la stagione fredda alle porte, con lo spettro del coronavirus? “Con serenità, curare l’alimentazione in famiglia, che sia sana e ricca di vitamine. Già questo aiuta l’organismo ad affrontare meglio i malanni di stagione. Anche sollecitazioni immunitarie con ‘ingredienti naturali’, come miele, propoli, echinacea, non fanno miracoli, ma arricchiscono il sistema immunitario per affrontare in modo più tonico le avversità” dell’autunno-inverno, conclude l’esperta. 

“RIPRISTINARE LA NOSTRA FIGURA? I TEMPI SONO CAMBIATI” – Chi ha frequentato asili e scuole negli anni ’80-’90 potrebbe averne qualche ricordo un po’ sbiadito. Di quella stanza con il lettino e la croce rossa sulla porta, che era l’ambulatorio dell’istituto, di un camice bianco che periodicamente si vedeva nei corridoi, accompagnato magari da una figura che oggi non ha più quel nome: la vigilatrice d’infanzia. Sentinelle di salute fra i banchi, oggi ‘estinte’. In molti le rievocano in tempi di pandemia di Covid-19, in particolare in questi giorni caldi in cui si discute di riaperture sicure e di ritorno degli studenti nelle aule. “Facevamo molti screening”, racconta Bertolotti, ricordando il decennio (1986-96) in cui ha rivestito questo ruolo.  

“Avevo l’attività di consultorio e andavo nelle scuole materne come medico scolastico. E’ stata un’esperienza molto positiva per quei tempi – dice la dottoressa che oggi ha una maxi famiglia di 7 figli e già 10 nipoti – Misuravamo periodicamente altezza e peso dei bambini, li sottoponevamo al test della vista e potevamo cogliere alcune patologie al loro esordio. Intercettavamo la tendenza al sovrappeso o all’obesità. Problematiche che venivano segnalate ai genitori, ai quali poi si chiedeva anche conto del fatto che avessero portato effettivamente i figli dal medico o dall’oculista per un riscontro”.  

Altro valore aggiunto: l’aiuto nella lotta ai detestati pidocchi. “L’infestazione era più controllata di adesso. Quando ero nelle scuole – ricorda – avevo al mio fianco una figura che non era proprio un’infermiera: la vigilatrice d’infanzia, che non esiste più come in passato. Andava ciclicamente nelle scuole a controllare i bimbi e comunicava a casa ad esempio l’eventuale presenza di pidocchi. La mamma il giorno dopo doveva passare dal consultorio alle 8 prima di portare il bambino a scuola, e lì la vigilatrice verificava che il trattamento avesse avuto successo”.  

Era un servizio, quello della medicina scolastica, che si svolgeva tra il consultorio e gli istituti. “La vigilatrice d’infanzia mi accompagnava in entrambi, sia nelle ore di consultorio che quando andavo fisicamente nelle scuole, alcune delle quali avevano un mini ambulatorio. Nel nostro piccolo si aveva il controllo della situazione, seguivamo i bambini anche da un punto di vista nutrizionale e della crescita, in un periodo in cui c’era bisogno di una figura per questo tipo di prevenzione. Anche nei consultori adesso l’attività è diversa”, sottolinea la dottoressa.  

Tutto è cambiato da quando, spiega Bertolotti, “la pediatria di base ha assunto questi compiti con le visite filtro”, per le quali i camici bianchi dei bimbi vengono retribuiti. “E in Italia penso che funzioni molto bene, rispetto a Paesi in cui questo servizio non raggiunge tutti così in forma gratuita. Forse oggi questo tipo di prevenzione da parte del medico scolastico sarebbe un doppione. Ha avuto un grande significato a quei tempi”. In chiave anti-Covid-19 rispolverare il medico scolastico “sinceramente non so quanto possa essere utile, non potendo fare diagnosi. Non credo aggiungerebbe niente”, riflette.  

La dottoressa ricorda d’altro canto l’importanza di un camice bianco a presidiare le scuole. “Io lavoravo in zone di periferia, dove c’erano bimbi magari poco seguiti, con genitori che lavoravano e l’assenza di un hummus familiare a far loro da sostegno. In questi contesti il medico scolastico aveva un ruolo importante”. Bertolotti non ha più fatto il medico scolastico dal ’96. “Proprio in quegli anni c’è stato il cambiamento e anche i miei colleghi hanno smesso di fare medicina scolastica. Il consultorio è diventato luogo di vaccinazioni e si è persa una parte di pediatria”, ripercorre. 

Nella sua carriera, il camice bianco ha poi fatto da medico di supporto in un asilo nido privato di Pavia e spiega come anche su questo fronte l’attività sia cambiata. “Prima visitavo i bimbi personalmente, ora faccio educazione sanitaria ai genitori”. 

Nelle scuole, racconta la pediatra, “abbiamo fatto anche campagne vaccinali anti morbillo. E contro l’epatite quando è diventata obbligatoria, perché c’era la necessità di fare un raccordo e vaccinare i bambini fino a una certa età, prima di partire con i nuovi nati. Forse ora non so se con la legge sulla privacy e le evoluzioni normative potremmo fare come allora, quando bastava una comunicazione a casa e nella data annunciata si vaccinava. Di certo, quando oggi racconto queste cose ai miei figli, mi dicono: ‘Mamma sei vecchia’”, sorride.