“Soldi buttati”. In questo momento per il cittadino una corsa al test sierologico per la ricerca di anticorpi contro Sars-Cov-2 sarebbe uno spreco di finanze, secondo il virologo dell’università di Padova Andrea Crisanti, che sottolinea la necessità di fare chiarezza su questo strumento per evitare quello che, secondo la sua opinione, sta già accadendo. “Sui test sierologici è ufficialmente caos. Ma bisogna aspettare che si faccia luce”, dice all’Adnkronos Salute. In Italia sul fronte delle istituzioni ci si è mossi in ordine sparso e su diversi livelli, mentre piovono le richieste dalle aziende e molti singoli cittadini o famiglie si stanno muovendo per averli.
“Sebbene in passato per altre malattie si siano rivelati utili”, per ora per quanto riguarda il nuovo coronavirus “non emergono dati che permettano di collocare i test sierologici in un percorso diagnostico”, puntualizza l’esperto. La visione del responsabile del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’Azienda ospedaliera del capoluogo patavino è netta. Crisanti preferisce guardare alle “cose concrete”, da lui sempre elencate: il monitoraggio dei contagi attraverso il tracciamento dei contatti, un’adeguata strategia di tamponi, non abbassare la guardia sulle protezioni individuali.
Quanto al vaccino, agli studi in corso per arrivare alla meta e alla bufera scoppiata dopo che è emersa la possibilità che Sanofi dia priorità nelle forniture agli Stati Uniti, per l’esperto una prima incognita sta a monte: “Dio solo sa se riusciranno a farlo il vaccino”. Ci sono un centinaio di candidati, ma “non è detto che si riesca a fare per tutte le malattie. Magari lo sviluppano, ma la maggior parte delle volte non si riesce. E poi bisognerà produrlo. Speriamo bene, perché sarebbe uno strumento potentissimo”, dice Crisanti.
“R0 NON BASTA, CENSIRE CHI SEGNALA SINTOMI” – Sono passati dieci giorni da quando è cominciato in Italia l’allentamento del lockdown e gli occhi del Paese sono tutti puntati su un numero: quello che indica il valore di R0, l’indice di contagiosità, cioè il numero di persone infettate in media da un singolo caso positivo al coronavirus Sars-CoV-2. Ma potrebbe non essere il faro ideale per orientarsi nel bilanciamento delle riaperture. E’ questa la visione del virologo Crisanti, secondo cui per avere un quadro completo occorre “censire anche i sintomatici non sottoposti a tampone”. L’indice R0 “è difficilissimo da calcolare ed è un dato che riflette una situazione relativa a diversi giorni prima di quando si prende la decisione. Non è tempestivo”, spiega all’Adnkronos Salute.
Per il responsabile del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’Azienda ospedaliera di Padova, “bisognerebbe avere una visione granulare della variazione dell’incidenza” dei casi di Covid-19. “Così com’è lascia spazio a interpretazioni non corrette”. Il problema sono anche le sottostime dei casi reali che derivano dal conteggio dei soli positivi accertati con tampone, e l’andamento disomogeneo che c’è stato nell’utilizzo di questi test e che può essere confondente. “E’ tanto tempo che io dico che bisogna contare nei casi giornalieri anche chi chiama per segnalare sintomi” compatibili con la malattia da nuovo coronavirus “e non fa il tampone. In questo modo avremo probabilmente una sovrastima dei casi, ma perlomeno è un quadro più completo”.
L’algoritmo scelto per orientare la vita in convivenza con Covid-19 può funzionare? “Per capirlo bisogna conoscerne i codici. E io non li conosco – spiega Crisanti – Conosco la situazione del Veneto e posso dire che qui finora sembra stia andando bene. Sono giorni che è una delle regioni che ha meno casi”, ieri l’aumento è stato di 32 positivi. “Bisogna stare all’erta. La ripartenza va portata avanti con tutte le debite cautele, perché anche in Veneto abbiamo una sottostima dei casi. Ma per il momento l’andamento dei contagi non è stato influenzato dalle recenti misure di rimozione delle restrizioni”.
In molti confidano che l’estate sia nemica del virus. “Cosa succederà adesso? Io non faccio l’indovino. E’ ancora presto per giudicare se ci sarà l’effetto clima – conclude il virologo dell’università di Padova – E’ una questione non solo di temperatura ma anche di umidità. Vedremo”.
“SENZA MASCHERINE AUMENTANO RISCHI” – In questi giorni di polemiche in cui a tenere banco è stato il caos mascherine, “bisogna tenere presente prima di tutto un punto fermo: qualsiasi mancanza di protezione passiva o attiva aumenta il rischio, è una cosa matematica” è il monito del virologo. In particolare a tenere banco sono gli scontri sul prezzo di 50 centesimi. Per Crisanti “bisognerebbe capire qual è il vero prezzo di mercato delle mascherine. Se è superiore a quello che il commissario Arcuri ritiene congruo, allora si faccia un sussidio anche per le mascherine”.
L’altro nodo resta quello dei reagenti per i tamponi. “E’ una situazione complessa – chiarisce Crisanti all’Adnkronos Salute – Purtroppo non sono unici, nel senso che il mercato è dominato da varie ditte che impongono i loro. Questo crea problema perché così i reagenti non sono intercambiabili” e in tempi di pandemia “è difficile approvvigionarsi. Noi a Padova abbiamo cercato di superare il problema per tempo facendoci i reagenti in casa e dotandoci di una macchina aperta”, non vincolata a un particolare kit.
“OSPEDALE FIERA? BATTAGLIA ANDAVA VINTA SUL TERRITORIO” – “Io l’ho detto fin dall’inizio: la battaglia” contro il coronavirus Sars-Cov-2 “si doveva vincere sul territorio, non puntando sugli ospedali. E’ stato commesso un errore strategico, un errore di visione” risponde Crisanti se gli si chiede cosa ne pensa della scelta di regioni finite nell’occhio del ciclone dei contagi come la Lombardia di costruire maxi padiglioni di terapie intensive per fronteggiare l’ondata di malati gravi che ha travolto gli ospedali.
Il suo pensiero va in particolare all’ospedale in Fiera a Milano, che in questi giorni è al centro di diverse polemiche. Il presidio era stato pensato e avviato nei giorni più difficili dell’emergenza quando il sistema delle terapie intensive era sotto pressione. “Quello che penso – sottolinea – è che tutti i soldi che hanno speso a Milano per un ospedale inutilizzato li avrebbero dovuti spendere in efficaci sistemi di tracciamento” dei contagi e dei contatti, “e in sorveglianza per le persone malate che si trovano a domicilio. E oggi sarebbero in una situazione diversa”.