di Margherita Lopes 

L’Italia è un Paese bellissimo “ma confusionario, e la pandemia ha messo in luce dove si è fatta confusione. A partire dalla questione dei reagenti per i tamponi”. A sottolinearlo all’Adnkronos Salute è Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria dispositivi medici, che torna sul nodo dei ‘bastoncini’ svela-Covid e della carenza di reagenti. “Nella fase 2 anche l’Organizzazione mondiale della sanità sottolinea l’importanza di puntare su tamponi e contact tracing. Ma per eseguire i tamponi non servono solo i ‘bastoncini’, sono cruciali i reagenti, i laboratori specializzati e gli operatori. Annunciare milioni di tamponi senza tenerne conto è un errore”.  

“Inoltre dipendere da un fornitore unico mette in forte difficoltà, mentre muoversi per tempo con una ricognizione delle disponibilità del mercato e una programmazione dei bisogni è basilare – ricorda – per capire quanti tamponi dobbiamo fare e cosa ci serve”. Questo, dice Boggetti, “non è stato fatto. Il commissario Arcuri ha riferito di aver contattato Farmindustria e Federchimica per la questione reagenti, peccato che a farli sono le nostre consociate di Confindustria dispositivi medici. Noi – assicura – non siamo stati interpellati. E a me dispiace, perché abbiamo sempre dato la massima disponibilità e abbiamo lavorato con Borrelli e con Ricciardi”, ricorda Boggetti.  

Piuttosto, sono state contattate “alcune nostre consociate, per sapere quale fosse la produzione massima; ma se i produttori italiani non hanno l’obbligo di rifornire per prime le strutture del Ssn, finisce che si vende all’estero. Insomma non c’è stata chiarezza sui bisogni e su come approvvigionarsi”. E “a quale scopo contattare le singole aziende quando si può interagire con l’associazione che le riunisce?”. 

“Questa pandemia, ce lo dicono tutti gli esperti, non finirà in fretta. E probabilmente non sarà l’ultima. Dobbiamo farci trovare pronti. L’Italia – aggiunge Boggetti – non è autosufficiente per i kit diagnostici per Covid, e non è stato fatto un accordo quadro con i fornitori su questi prodotti: le Regioni si sono mosse da sole e in ordine sparso”. Insomma, i reagenti mancano “per mancanza di organizzazione. Ora si va verso un accordo quadro, ma quando la domanda è ben superiore all’offerta occorre essere svegli e organizzati per accaparrarsi un prodotto”.  

Anche sul test sierologico unico per lo studio di sieroprevalenza “si è fatta confusione: prima di tutto non si è chiarito che non sarebbe stato il test nazionale che tutti dovevano utilizzare, ma un test scelto per uno studio epidemiologico. Il messaggio che era passato era: io scelgo il test migliore e tu lo utilizzi. Piuttosto – aggiunge Boggetti – andavano individuati i criteri qualitativi per effettuare la selezione, e i brand avrebbero presentato i kit corrispondenti alle indicazioni. Poi c’è da considerare che gli studi dimostrano che la prevalenza di Sars-Cov-2 è bassa anche nelle zone più colpite. Scommettere sui test sierologici rischia di essere uno spreco di tempo e denaro” per le Regioni e le stesse aziende che intendono offrirle ai dipendenti. “La riapertura, piuttosto, si deve basare su tamponi e contact tracing, come dicono gli scienziati”.  

Per Boggetti questa fase 2 “si risolverà solo con la collaborazione. Occorre porre le basi per un comparto italiano dei dispositivi medici capace di proteggere il Paese. Non certo, come forse potrebbe pensare qualcuno, un’industria di Stato, che in passato ha dato una ben magra prova. Finora le nostre aziende hanno dimostrato creatività e flessibilità, e vanno sostenute. L’industria è una parte fondamentale del processo” per l’uscita dalla pandemia. “Dobbiamo ripartire da scienza, salute e industria”, conclude Boggetti.