di Antonella Nesi
“Non recrimino, non chiedo soldi ma voglio informazioni precise su cosa dobbiamo fare. Dobbiamo chiudere fino a settembre? Fino a ottobre? Fino a gennaio? Non discuto ma voglio saperlo. Nell’incertezza non possiamo fare nulla se non morire”. Massimo Romeo Piparo, regista e produttore teatrale di fama internazionale con la sua PeepArrow e dal 2013 direttore artistico del Teatro Sistina di Roma, sbotta così in un’intervista all’Adnkronos sulla crisi provocata nel settore dal lockdown per il coronavirus. “Io devo sapere cosa fare con i quattro spettacoli che avevamo in piedi (‘We Will Rock You’ con Anastacia in Olanda, e ‘Belle Ripiene’, ‘The Full Monty’ e ‘Rugantino’, oltre alla ripresa di ‘Jesus Christ Superstar’ e dello spettacolo di Vincenzo Salemme, in Italia). Ci lavorano 185 persone, che vuol dire 185 famiglie. Abbiamo avuto mancati incassi per oltre due milioni di euro in questi due mesi. E non sappiamo ancora nemmeno come comportarci per il rimborso dei biglietti. Se ci dicessero almeno ufficialmente fino a quando staremo chiusi, potremmo tentare di riprogrammare alcune date e dare delle informazioni sui biglietti”, dice esasperato.
“Sono seriamente preoccupato. E da domenica – aggiunge – mi sento calpestato nella dignità del lavoro che abbiamo fatto fin qui. Non sentire neanche una parola sui lavoratori dello spettacolo nel discorso di Conte è uno schiaffo che non ci meritavamo. Sembra quasi che dobbiamo essere penalizzati perché facciamo un lavoro che amiamo. Quasi che amare il proprio lavoro sia una colpa da espiare. Quello che produciamo sarà anche un genere voluttuario ma è necessario. Lo dice la storia”.
Piparo si rivolge anche al ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Dario Franceschini: “Il nostro ministro di riferimento come intende rassicurare il pubblico, quando l’emergenza sarà finita, per farlo tornare al cinema o a teatro. La stagione live estiva, tra musica e teatro, muove miliardi nell’economia italiana. Ok salterà ma almeno ci diano una visione prospettica”, incalza.
“Io ho i padri di famiglia che mi chiamano. Non sanno che fare. Non una parola sulla cassa integrazione in deroga, che era stata concessa per nove settimane. Ma nove settimane sono già passate. E ora? Non possiamo assumerci noi la responsabilità di dare risposte al posto del governo”, aggiunge.
“Se il rito teatrale non si può svolgere, chiudiamo. Ma ce lo dicano chiaramente. Temo che invece queste certezze non arrivino perché non vogliono assumersi le responsabilità conseguenti”, afferma Piparo. Che poi aggiunge: “L’altra idea più felice è che stiano mettendo a punto un piano. Ma allora perché non dirlo. Potevano dire: ‘stiamo studiando delle misure di cui vi diremo tra tot giorni o settimane’. Ma non lasciarci appesi così”.
“Capisco i ristoratori, gli albergatori, gli estetisti e i parrucchieri, però ci siamo anche noi. Siamo imprenditori anche noi!”, scandisce. “Non si può dire, come ha fatto Franceschini, ‘sto pensando ad una Netflix del teatro’ senza spiegare cosa si intende e con chi ci sta ragionando e lavorando. Io ho delle idee da proporre a Franceschini, se mi convocasse sarei felice di esporgliele. Vorrei ragionare di un bollino ‘Covid Free’ per cinema e teatri: una certificazione che tranquillizzi il pubblico quando si potrà riaprire. Si può ragionare su tutto ma quello che non si può fare e lasciarci in questo limbo ad agonizzare”, conclude.