L’avvocato del popolo, per forza frequentatore di virologi all’epoca del coronavirus, resta amico della filosofia. Lo si è visto nell’informativa di oggi alla Camera, quando Giuseppe Conte ha sottolineato che “la filosofia antica, da Platone ad Aristotele, distingueva la doxa, intesa come l’opinione, la credenza alimentata dalla conoscenza sensibile, dall’epistème, la conoscenza che invece ha salde basi scientifiche”.
Un modo un po’ dotto del premier per ricordare che in materia di salute c’è poco da andare dietro ai ‘si dice’. Per ricordarlo, oltretutto, ad un’aula fremente (in particolare fra i banchi dell’opposizione) per la ‘prigionia’ imposta da mascherine e distanze obbligate, con procedure nuove, come il microfono in mezzo all’emiciclo, posti nelle tribune, comprese quelle della stampa (per i giornalisti c’erano le tribune angolari in alto alle spalle del presidente). Poi, ha continuato con una citazione implicita quando ha detto che per il governo agire sulla base non delle opinioni ma delle evidenze scientifiche è un “imperativo categorico”. Un richiamo al principio portante dell’etica di Immanuel Kant, anche se ormai entrato nel linguaggio comune.
Più elitaria per il premier, però, la frequentazione culturale, culminata con un incontro nella sua casa a Piacenza un anno fa, con Emanuele Severino, scomparso lo scorso 20 gennaio. In quell’occasione il premier ricevette i volumi con dedica dell’autore, “Il giogo”, “Dike”, “Storia, gioia”. E nell’abitazione di uno dei massimi pensatori italiani lui era arrivato con il volume “La potenza dell’errare”, per un autografo sulla riflessione severiniana sul concetto di verità.