di Enzo Bonaiuto 

La Consulta non fa politica e men che meno la fa il presidente della Corte Costituzionale. Tiene a precisarlo Marta Cartabia, dopo le ‘letture’ su diverse sponde partitiche del suo monito, contenuto nella relazione annuale sull’attività della Corte, sul fatto che non esista in Italia un diritto speciale in caso di emergenza – come lo è dal punto di vista sanitario ed economico l’attuale pandemia da coronavirus – e che le linee-guida cui tutti devono uniformarsi sono quelle previste e tracciate dalla Costituzione repubblicana, da considerare come l’autentica e insostituibile “bussola” per navigare in questo periodo particolare della vita delle istituzioni e dei cittadini italiani. 

La presidente della Corte Costituzionale, in videoconferenza con l’Associazione Stampa Estera in Italia, si dice “davvero sorpresa e dispiaciuta che il mio richiamo a ripartire dal fondamento dell’ordinamento giuridico che è la Costituzione abbia potuto essere speso in riferimento a singoli aspetti politici del momento o a singole contese di tipo politico che erano in corso. Trovo che sia davvero inappropriato attribuire al presidente della Corte Costituzionale l’intendimento di scendere nell’agone politico”. 

Sottolinea infatti Cartabia: “Se c’è una virtù, un principio, che un giudice costituzionale in generale ma un presidente della Consulta in modo particolare tiene a preservare, è proprio quello di essere super partes, essendo chiamati a giudicare le leggi del Parlamento e i conflitti fra poteri. Prima ancora che un dovere, è una prerogativa per preservare la propria indipendenza e la propria libertà. Sarebbe gravissimo se un presidente volesse entrare nella discussione politica per giudicare se le azioni del Governo vanno bene o non vanno bene”. 

Quindi, Cartabia ribadisce quanto già chiarito nell’intervista al ‘Corriere della sera’, in ‘tempi non sospetti’ ovvero prima dell’alimentarsi delle polemiche politiche e di quelli che definisce “fraintendimenti”: “Era un richiamo ai principi, non una applicazione di quei principi a casi concreti”. Quanto al fatto che in Italia non esista uno “stato di eccezione”, per la presidente della Consulta non è altro che “una affermazione quasi ovvia, che qualsiasi professore direbbe ai suoi studenti già nel primo anno del suo corso di insegnamento”.