“Le prossime tre settimane saranno decisive. Lo diciamo da sempre, ma queste lo sono davvero per farci capire come andranno veramente le cose, nell’auspicio che vadano il meglio possibile, ma con la sensazione che in certe situazioni ci sono ancora dei margini di rischio che potevano essere dimensionati diversamente, se non ridimensionati”. Lo afferma Massimo Galli, primario di malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, ospite di ‘Mezz’ora in più’, su Rai3, alla vigilia dell’avvio della fase due.
“E’ evidente che la situazione è diversa da regione a regione e che è clamorosamente mancato, lo abbiamo detto da tempo, l’intervento sul territorio, con qualche eccezione come il Veneto. L’emergenza non è finita, dobbiamo trovare il modo per gestire la riapertura e la convivenza con questo virus. E per questo sono preoccupato che in regioni dove l’epidemia è stata limitata, ci sia stato meno controllo territoriale dei contagi e dei contatti, che ora avrebbe rappresentato un ulteriore elemento di sicurezza”, è il quadro tracciato da Galli.
In Lombardia, ricorda, nelle scorse settimane molti contagi sono avvenuti in famiglia. “Ora stiamo passando da un intervento drastico di chiusura, semplice nelle caratteristiche e pesante nelle conseguenze, ma che ha ottenuto validi risultati – avverte – a una situazione in cui apriamo, con la regola della ‘mascherina, guanti e distanza’, e una forte speranza nello stellone. Questo è un limite oggettivo, poteva, doveva e deve essere fatto di più, come definire i contagi nelle famiglie e i loro contatti. E questo non lo si è fatto nemmeno sperimentalmente. Ora si torna al lavoro, ma bisogna che sia fatto con determinate regole e certezze sul monitoraggio dei lavoratori”.