E’ in carcere a Verona con l’accusa di lesioni aggravate contro la moglie e le figlie minorenni, risulta positivo al coronavirus ma non essendo la casa circondariale guidata dalla direttrice Maria Grazia Bregoli in grado di adottare “misure di profilassi idonee a scongiurare il pericolo di contagio” per i detenuti e per chi dietro le sbarre ci lavora – secondo quanto riferito in una nota riportata in sentenza -, i giudici della seconda sezione della corte d’Appello di Venezia decidono per il 40enne paziente asintomatico la scarcerazione con “l’obbligo di dimora” nel Comune di Verona e il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla moglie e dalle due figlie, pena il ritorno immediato in carcere.
Il virus diventa un buon motivo per discutere un’esigenza cautelare, ma fa dimenticare che il 40enne – positivo al Covid-19 – non ha un domicilio eppure la corte non impone nessun altro obbligo e l’uomo è dunque libero di girare indisturbato nella città veneta che conta circa 4mila contagi. La scelta dei tre giudici viene motivata dal fatto che l’ex detenuto di origine indiana – condannato a 3 anni e 11 mesi per maltrattamenti in famiglia nel dicembre 2019 – dovrà discutere l’appello solo nel giugno 2020.
Applicando l’articolo 299 del codice di procedura penale, si sostituisce la misura coercitiva riconoscendone un “minor sacrificio” per il detenuto e al contempo tutelando le vittime, si fissa il giorno della scarcerazione (14 aprile), si informa prefetto e sindaco e si affida alla Asl di “adottare i provvedimenti di competenza per la gestione della quarantena”. Il Comune si attiva, ma l’emergenza ha riempito ogni posto letto a disposizione e così l’uomo – potenzialmente contagioso – viene rintracciato dai carabinieri, sabato 18 aprile, mentre gira indisturbato in stazione, poche ore dopo aver lasciato la casa circondariale di Montorio.
Di diritti lesi, in questa storia ci sono anche quelli dell’avvocato difensore, il quale preferisce non comparire, inconsapevole di assistere una persona positiva al coronavirus. “Mi ha contattato e mi ha raggiunto nel mio studio per farmi vedere la documentazione, guardandosi bene dal dirmi che era positivo al tampone”, racconta. Il legale è in isolamento quando la trama giudiziaria ha un inaspettato colpo di scena: il 40enne scarcerato per esigenze sanitarie non ha il virus, il suo tampone risulta negativo, ma quel risultato – forse è guarito o forse il primo tampone ha dato un falso positivo – cambia la sua vita. “La scelta della direttrice del carcere di Verona di presentare, su propria iniziativa, un’istanza di scarcerazione per il detenuto, positivo asintomatico, che rappresenta un pericolo all’interno della struttura penitenziaria ha permesso di far discutere l’esigenza cautelare – sottolinea il difensore -. In realtà il mio isolamento è durato poco perché il mio tampone e quello del mio assistito sono risultati presto negativi”.
Attualmente il 40enne che resta libero e a giugno tornerà in aula per il processo d’appello, “è ospite in una struttura della Curia, il Comune gli fornisce i pasti. Ci siamo messi subito a disposizione per trovare una soluzione”, fanno sapere da Palazzo Barbieri.
La situazione a Verona resta complicata, anche se questa situazione – che mette in luce tutti i limiti della giustizia – si è risolta positivamente. Secondo Aldo Di Giacomo segretario generale del sindacato di Polizia Penitenziaria nel carcere cittadini sono positivi “oltre 60 tra detenuti, poliziotti e medici”, per questo in una lettera indirizzata ai ministri Bonafede e Speranza e ai vertici delle istituzioni venete, chiede di “voler provvedere ad evacuare l’intera struttura e procedere alla sanificazione per evitare conseguenze estreme”.