di Vittoria Vimercati
La politica sui tamponi di Regione Lombardia sta cambiando. Da mercoledì 15 aprile, i medici di base possono richiedere un tampone ai loro pazienti in isolamento fiduciario a casa che hanno sviluppato i sintomi e sono classificati come ‘sospetti Covid’. Questo è previsto, però, per chi debba tornare al lavoro e per chi abbia, dopo un contatto con un caso accertato di coronavirus, già trascorso 14 giorni di quarantena senza febbre. Per le altre tipologie di pazienti, invece, vale l’allungamento dell’isolamento, e quindi della malattia, fino a 28 giorni.
“Ebbene sì, l’Ats ci ha comunicato che possiamo richiedere tamponi per i sospetti covid attraverso il loro portale. Ma questo si limita a chi adesso dovrà rientrare al lavoro”, conferma all’Adnkronos Anna Carla Pozzi, medico di base a Pioltello e segretario della federazione provinciale di Milano dei medici di base, a proposito della nuova circolare della Direzione Welfare. L’obiettivo è quello di evitare che chi torna a fare vita sociale (per quanto distanziata) contagi altre persone.
L’auspicio del medico è che le aumentate possibilità di fare tamponi possano far entrare nella lista delle priorità anche i medici di base, sempre a contatto con malati e soggetti fragili.
Finora, racconta il medico, “io non sono mai riuscita a ottenere tamponi per i miei pazienti e non l’ho mai fatto nemmeno io. Continuano a dire che il personale sanitario viene tamponato ma di certo non si tratta dei medici di base. I colleghi che hanno ottenuto un tampone sono solo quelli che hanno sviluppato una patologia similcovid”.
Con il primo tampone positivo si entra in una procedura che prevede tamponi di controllo. Due test, in particolare, a distanza di 24 ore quando si vuole confermare la piena guarigione di un paziente. Probabilmente sono questi, i tamponi in ‘uscita’ dal ricovero, la gran parte di quelli processati ogni giorno in Lombardia, dai 6mila fino ai 10mila, nell’ultimo periodo. L’assessore al Welfare Giulio Gallera ha dato qualche cifra: sui 232mila e passa tamponi eseguiti finora in Lombardia, il grosso, quasi 54mila, sono stati fatti a Milano e provincia, dando priorità a medici, infermieri e operatori socio-sanitari e a chi si presenta nei pronto soccorso. “Siamo arrivati a 42 laboratori coinvolti”, ha detto, con una potenzialità compresa tra 12-13mila tamponi al giorno.
“Se uno non viene ricoverato, ai fini dei tamponi è come se non esistesse”, sostiene Pozzi, che continua a fare le visite, nel suo studio di Pioltello.
Per difendersi dal contagio “faccio il triage telefonico e cerco di capire se sono covid o meno. Se sono potenziali covid li tengo a casa e li monitoro al telefono. Se no, li visito. Ma li ricevo uno alla volta, e non possono venire accompagnati. Alcuni all’inizio mentivano, si vergognavano di dire che avevano la febbre. Un extracomunitario è venuto da me dicendo che aveva bisogno della malattia per un mal di schiena. Aveva la saturazione al 77%, quella normale è a 99%, credo sia ancora in ospedale. Ora fortunatamente non accade più”.
Il problema, sottolinea, “resta che io potrei essere positiva senza saperlo e contagiare i miei pazienti”. Per questo, ora si dovrebbe iniziare a fare i test a tappeto anche ai medici di base. Tutto questo cambierà con l’arrivo, tra qualche giorno – dal 21 aprile secondo Regione Lombardia – dei primi test sierologici. Anche in questo caso non è chiaro quale sarà l’ordine di priorità, anche se è molto probabile che si privilegeranno gli ospedalieri.
“In Lombardia il territorio è sempre stato sguarnito, qui c’è una politica molto ‘ospedalocentrica’, hanno aperto un mega ospedale e non hanno pensato di darci i presidi. Ci siamo reinventati un lavoro e purtroppo – è l’amara constatazione di Pozzi – non ci siamo riusciti, perché molti dei dottori morti in queste settimane sono stati proprio medici di base”.