“Vediamo che c’è un trend alla decrescita nel numero dei casi se presentati per data di comparsa dei sintomi, ma il virus non sta scomparendo. Spesso si parla di nuovi contagi, ma si tratta in realtà di vecchie notifiche. Adesso è importante considerare la data della comparsa dei sintomi”. Lo ha detto Giovanni Rezza, direttore delle Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), nella conferenza stampa all’Iss sull’emergenza coronavirus.
“Non raggiungeremo casi zero a maggio, il virus probabilmente continuerà a circolare, anche se a bassa intensità. Non abbiamo raggiunto un vero e proprio picco, non c’è una massa di popolazione che si è infettata sufficiente – ha precisato Rezza – Abbiamo solo abbattuto i contagi con il ‘lockdown’, ma la popolazione rimane ampiamente suscettibile e quello che è successo due mesi fa potrebbe riaccadere se non stiamo attenti”.
“FOCOLAI OSPEDALIERI E IN RSA” – Rezza ha spiegato che “quello che non sappiamo bene riguarda gli ultimi contagi, quelli che sono avvenuti dopo il lockdown, dove sono avvenuti, perché e con quali modalità”. In questo senso i casi tra “gli operatori sanitari ci dicono molto, perché vuol dire che ci sono stati focolai ospedalieri, focolai a livello di Rsa (Residenze sanitarie assistenziali, ndr) e Ra (Residenze assistenziali, ndr)”.
“Le Rsa – ha evidenziato l’esperto – sono indicatori dell’epidemia, ma anche degli amplificatori. Nel senso che, quando vediamo un focolaio in una Rsa, vuol dire che in qualche modo in quella zona il virus sta circolando ed è stato introdotto all’interno di quella struttura”. Le strutture residenziali “sono degli indicatori di circolazione virale”, ha aggiunto Rezza, osservando che “nell’ultimo periodo molte ‘zone rosse’ sono nate intorno a focolai che erano sorti in Rsa”.
Oltre a quelli nati nelle residenze assistenziali, “probabilmente la gran parte degli altri contagi insorti dopo il lockdown sono stati contagi intra-familiari. Ci sono i tedeschi che fanno un ottimo contact tracing e hanno molte informazioni – oltre a erogare un’ottima assistenza ospedaliera e ad avere tantissimi posti in terapia intensiva – e che hanno indicato come la gran parte dei contagi avvenga all’interno delle famiglie e di strutture sanitarie, quindi da contatto ravvicinato”. “Su questo c’è bisogno di maggiori informazioni – ha precisato – e credo che proprio il progetto di contact tracing che il presidente ha presentato l’altro giorno nel Comitato tecnico scientifico vada a cercare di recuperare anche questo gap”.
“ISOLAMENTO A CASA COMPORTA RISCHIO TRASMISSIONE FAMILIARE” – “Chiaramente – ha evidenziato – l’isolamento domiciliare comporta un rischio maggiore di trasmissione intra-familiare”, specie “se non ci sono le condizioni adatte e se non si rispettano le regole. Magari l’Asl fa il controllo ogni giorno, ma bisogna essere molto disciplinati e accurati nelle rigorose regole che comporta l’isolamento domiciliare”. Il possibile contagio associato all’isolamento domiciliare, ha osservato, “potrebbe essere un problema soprattutto” nelle case in cui ad esempio “c’è un bagno in comune, o non c’è una sufficiente metratura. In questi casi si possono proporre soluzioni alternative” che tuttavia, “se i casi sono tanti, è difficile trovare”.
“L’isolamento domiciliare – ha tenuto a precisare l’esperto – è un tema che non tocca solo l’Italia, ma è proprio delle democrazie occidentali in generale. In Cina è stato affrontato chiaramente in modo diverso”. “Sia le persone malate che i contatti che dovevano stare in quarantena magari sono stati portati in strutture apposite, con le buone o le cattive maniere. E’ il bello e il brutto di democrazie e regimi – ha sottolineato – Credo che in Italia, come in altre democrazie occidentali, ciò non sia molto possibile e ci si basa soprattutto sull’isolamento domiciliare”.
FASE 2 E ZONE ROSSE – “Adesso siamo ancora in fase 1, non c’è dubbio”, ma in una futura “fase 2 dovremo mantenere delle misure di distanziamento sociale” che siano “strette e rigorose”. Non solo: “Quando arriveremo a un momento in cui il virus circolerà meno rapidamente, sarà estremamente importante rafforzare soprattutto il controllo del territorio” e ritornerà attuale la definizione delle cosiddette ‘zone rosse’, secondo lo scenario descritto da Rezza.
Nella fase 2 sarà cruciale “l’identificazione rapida dei focolai – ha spiegato l’esperto – Vuol dire identificazione rapida dei casi, diagnosi, isolamento, rintraccio dei contatti e loro isolamento, e azioni di contenimento”. E anche se “può sembrare un paradosso”, ha osservato, “se la circolazione” virale “si riduce, tanto più c’è bisogno di zone rosse” che non a caso “sono più frequenti nelle aree meno colpite”. E’ infatti “in quelle aree” che “è fondamentale attuare immediatamente un’azione di contenimento per ridurre la circolazione del virus nelle zone contigue”. Quindi “quella delle zone rosse – ha ribadito l’infettivologo – tornerà ad essere una misura importante in una fase in cui non ci sarà più un lockdown completo Paese”.
“Sono un appassionato delle zone rosse, e mi sembra che fino ad ora, a partire da quella di Vo’, abbiano sempre funzionato” ha detto Rezza, sottolineando come “di base si tratti di misure di isolamento e distanziamento sociale”, imposte a località ben identificate, “per un certo periodo di tempo”. Ci sono state diverse zone rosse, anche nel centro Sud, “spesso su iniziativa regionale”, e dopo un certo periodo sono state riaperte perché “il focolaio è stato controllato”.
Dunque, nella fase 2 “dovremo usare un po’ di distanziamento sociale” in stile cinese “e un po’ dell’hi-tech coreano per il tracciamento dei contatti”, ma soprattutto dovremo essere “10 volte più pronti nell’identificare e controllare eventuali nuovi focolai”.
“NO EVIDENZE SU IPOTESI MONTAGNIER” – A una domanda dei giornalisti sulla teoria sull’origine di Sars-Cov-2 avanzata dal premio Nobel francese Luc Montagnier, secondo il quale il virus sarebbe stato manipolato dall’uomo e uscito accidentalmente da un laboratorio cinese impegnato nella ricerca contro l’Aids, Rezza ha risposto: “Da un po’ di tempo Montagnier è un po’ fantasioso nell’ipotesi scientifica. In ogni caso non abbiamo evidenze” che suffraghino questa tesi. “Non abbiamo evidenze”, ha concordato anche il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro.