(Adnkronos) – In Italia oltre 2 milioni di anziani sono esposti a interazioni farmacologiche potenzialmente gravi e un altro milione assume farmaci inappropriati, con un aumento del rischio di errori di assunzione, scarsa aderenza terapeutica, deterioramento funzionale e cognitivo, stato confusionale acuto, disturbi del comportamento, disturbi alimentari, fragilità, aumento del rischio di ospedalizzazione e morte. Questo è il quadro tracciato dal rapporto OsMed (Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali) del 2021. “Già nel 2019 i dati del rapporto sul consumo di farmaci nell’anziano rilevano che oltre 900mila soggetti assumono due o più farmaci che aumentano il rischio di sanguinamento gastrointestinale, quasi 250mila assumono due o più farmaci che prolungano il QT esponendoli al rischio di aritmie gravi, se non fatali, e oltre 1 milione e 300mila due o più farmaci che provocano insufficienza renale”, dettaglia Micaela La Regina, dirigente medico di I livello presso la Ss Risk Management (Sc Governo clinico, Programmazione sanitaria, Rischio clinico) della Asl 5 Liguria, in un’intervista ad Alleati per la Salute (www.alleatiperlasalute.it), portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis.
I farmaci “più spesso prescritti in maniera inappropriata nell’anziano – afferma La Regina, che è anche membro della Federazione delle associazioni di dirigenti ospedalieri internisti (Fadoi) – risultano essere: digitale, antidepressivi, calcioantagonisti e Fans. E la conseguenza di tutto ciò è la ‘politerapia’, l’assunzione concomitante di cinque o più farmaci diversi, condizione molto rischiosa, non sempre appropriata, che rende più facili errori, dimenticanze o duplici assunzioni, interazioni fra farmaci o tra farmaci e malattie, responsabili del 5-15% di tutti i ricoveri ospedalieri”.
Gli anziani che assumono più farmaci sono un vero e proprio esercito. “Quasi il 30% degli over 65 assume 10 o più principi attivi e il 66,6% almeno 5 – rimarca l’esperta – L’Italia è la nazione europea con il maggior numero di anziani, con oltre 14 milioni di cittadini (circa uno su 4) che hanno più di 65 anni, ragion per cui la gestione della terapia farmacologica è un problema di salute pubblica”. Gli over 65 che assumono almeno 5 farmaci “prendono per lo più due antiipertensivi – precisa La Regina – un antiaggregante e un ipolipemizzante, perché più frequentemente soffrono di malattie cardiovascolari. Gli over 65 che assumono 8 o più farmaci invece sono spesso affetti anche da diabete mellito e assumono in più antidiabetici, antigottosi e antiulcera”.
“La politerapia è dovuta alla compresenza di più patologie croniche, condizione nota come multimorbilità, che richiedono ciascuna uno o più farmaci – spiega ancora La Regina – A questi si aggiungono eventuali farmaci introdotti per contrastare effetti collaterali dei primi non riconosciuti, farmaci proseguiti oltre il necessario per inerzia, farmaci da autoprescrizione, anche non convenzionali. Oltre ad andare incontro a facili errori, dimenticanze o duplici assunzioni e interazioni fra farmaci, tra i rischi della politerapia c’è l’assunzione concomitante di farmaci dotati di effetto anticolinergico, anche secondario, aumenta la probabilità di confusione mentale, decadimento cognitivo, cadute e ritenzione di urina”. I più esposti ai rischi della politerapia sono uomini e donne oltre i 65 anni, “ma c’è anche da dire che gli uomini mostrano un consumo superiore di farmaci rispetto alle donne”.
Fornire una corretta informazione su questo tema, però, non è compito solo del medico di medicina generale. Secondo l’esperta, “indubbiamente il medico di famiglia svolge un ruolo centrale nella gestione della terapia farmacologica e nell’educazione sanitaria di ciascun assistito, ma la consapevolezza dei rischi della politerapia e la conoscenza delle strategie per contenerli devono essere patrimonio di tutti gli attori del complesso e dinamico processo della farmacoterapia”. Quindi, conclude La Regina, “medici specialisti, farmacisti, infermieri, altri professionisti sanitari, lo stesso paziente, il suo caregiver e i decisori in ambito sanitario che devono favorire con ogni mezzo – scientifico, tecnologico, sociale – i processi di ricognizione e riconciliazione farmacologica e di deprescrizione”.
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