Nel 2020 lo shock pandemico avrebbe potuto causare ulteriori 200mila licenziamenti, portando quindi il totale a circa 700mila unità. Si può valutare che le misure di estensione della cassa integrazione, il sostegno alla liquidità delle imprese e il blocco dei licenziamenti varate dal governo abbiano impedito circa 600mila licenziamenti nell’anno in corso. E’ quanto stima la Banca d’Italia in una nuova pubblicazione della serie ‘Note Covid-19’, nella quale ricorda che in condizioni normali, in assenza dello shock collegato al coronavirus, nel 2020 in Italia si sarebbero avuti circa 500mila licenziamenti per motivi economici, come nel 2019, a fronte di 1,3 milioni di nuove assunzioni e trasformazioni. 

Il blocco dei licenziamenti, confermato dal dl ristori fino al 31 gennaio, “evita – ricorda l’istituto di via Nazionale – che i lavoratori si trovino nella condizione di dover cercare un nuovo impiego in un momento particolarmente difficile, soprattutto in caso di lockdown”. 

“L’ampia copertura garantita dalla cassa integrazione per Covid e dalle altre politiche avrebbe potuto prevenire la gran parte dei licenziamenti addizionali dovuti alla crisi” innescata dalla pandemia “(circa 200 mila), mantenendo il numero di licenziamenti nel 2020 sui livelli dell’anno precedente anche a prescindere dalla normativa anti Covid”. 

I settori maggiormente colpiti, scrive nella nota la Banca d’Italia, “sono quelli con un peso nel complesso relativamente ridotto di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato o impiegati in piccole imprese. Il quadro sarebbe stato assai peggiore se la crisi, nella sua prima fase, avesse colpito in misura maggiore i settori nei quali il lavoro stabile è relativamente più diffuso, come l’industria manifatturiera”. 

“Le stime – concludono da via Nazionale – suggeriscono che un’interruzione simultanea sia della Cig-Covid sia del blocco dei licenziamenti dovrebbe essere valutata con estrema cautela al fine di evitare possibili brusche cadute”.