“La de-localizzazione dipende da una serie di fattori, che vanno dal grado di digitalizzazione della Pa alla competenza del singolo. Per questo non tutte le attività possono essere, ad oggi, svolte da remoto”. A dirlo Sauro Angeletti, Presidenza del consiglio dei ministri, intervenendo al digital talk ‘Le new ways of working nella Pubblica amministrazione’, promosso da EY e trasmesso in streaming su Adnkronos.com.
“Il lavoro agile nelle amministrazioni – afferma – è una scoperta relativamente recente, per la maggior parte della Pa. Nella fase pre-covid c’è stata una sperimentazione, non esaustiva, per promuovere un vero cambiamento della Pa. In questo contesto, l’esperienza della fase Covid ha fatto di necessità virtù, prescrivendo la necessità del distanziamento fisico come misura necessaria per perseguire l’obiettivo della tutela della salute dei dipendenti, promuovendo il lavoro agile come modalità ordinaria della prestazione lavorativa”.
“Per noi – avverte Angeletti – l’aggettivo ordinario è stato il volano di una trasformazione per la Pa assolutamente straordinaria, che oggi impone di cambiare forma mentis e organizzazione del lavoro, in un ambiente in cui normalmente la prestazione è cadenzata da tempo e orario lavoro. Questa rivoluzione è accompagnata da una serie di norme. Introdotto dal 2015, il cosiddetto lavoro agile è stato adottato, durante la pandemia, come modalità ordinaria di lavoro. Successivamente il legislatore, assecondando la ripresa attività economica e produttiva (rispetto alla quale le amministrazioni pubbliche costituiscono un fattore di stimolo vero e proprio) introducendo nel Decreto Rilancio, ossia disposizioni finalizzate a riportare in ufficio la metà dei dipendenti pubblici, lasciando dunque a casa a circa la metà di questi, con la possibilità di proseguire a lavorare in maniera delocalizzata”.
Le norme recentemente adottate, ‘mi riferisco in particolare al decreto legislativo 34 del 2020, hanno previsto nelle Pa l’adozione di un piano organizzativo, che promuove un momento di programmazione, con regolamenti e norme che obbligano ogni amministrazione singola a riflettere a proposito dell’intervento da mettere in campo, per il raggiungimento dell’obiettivo: lo sviluppo del lavoro agile. L’obiettivo normativo è di consentire che il 60% dei dipendenti pubblici che ne facciano richiesta di poter lavorare da remoto”.
“Nella situazione pre-covid – ricorda Sauro Angeletti – la diffusione dello smart working era davvero esigua: da un recente un monitoraggio del dipartimento lo misurava nell’1,9% del totale fino a gennaio 2020, per arrivare al 60% del totale ad aprile 2020. I lavoratori della Pa hanno continuato a lavorare, contemperando le due contrapposte esigenze della tutela salute e della necessità di erogare servizi pubblici, senza interruzione, adottando nuove modalità”.
Questo aumento dei lavoratori della Pa in smart working “richiede ora la programmazione di interventi ingenti, che investono le competenze, le capacità manageriali, le logiche di suddivisione degli spazi”.