Una Borsa Italiana indipendente e quotata, come una qualsiasi società per azioni, non è un’ipotesi improbabile né tantomeno uno scenario impossibile. Uno dei suoi ex presidenti, Stefano Preda, alla guida del mercato finanziario negli anni della sua privatizzazione, dal 1997 al 2000, lo ritiene anzi auspicabile, soprattutto in vista della Brexit.  

“Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea è diventato un problema serio”, spiega Preda, che oggi è presidente di Credit Suisse Italy, in un’intervista all’Adnkronos. “Non c’è mai stata piena consapevolezza del valore strategico della Borsa, ma ora le cose sono cambiate”.  

Il Governo sembra aver capito che la società, controllata dal London Stock Exchange, meriti di essere inserita nel catalogo delle imprese di rilevanza nazionale. Soprattutto nell’ottica in cui la Borsa di Londra sia costretta o ritenga di doverla cederla insieme a Mts, la piattaforma di trading dei Titoli di Stato, per i vincoli Antitrust che la Commissione europea dovesse rilevare durante l’istruttoria aperta per l’acquisto di Refinitiv.  

“Ho l’impressione che in questo momento – sottolinea Preda – ci sia la consapevolezza che sarebbe opportuno avere alcuni settori strategici su cui un soggetto aggregante intervenga e crei una filiera capace di rendere il Paese indipendente da sbandamenti e crisi internazionali di vario genere”. Non solo Difesa, Infrastrutture e Sanità, ma ora anche il Ftse Mib.  

Cdp si è ritagliata questo ruolo negli ultimi tempi. “Non credo – dice Preda – che Cdp possa fare tutto, ma oggi ha un ruolo interessante, motore propulsore di filiere di interesse strategico. La Borsa è una di queste, tanto più con Mts”.  

Secondo il manager, per una quotazione di Piazza Affari gli investitori non mancherebbero. “Anche le banche potrebbero essere interessate, perché no? Non stiamo parlando di cifre straordinarie, se c’è un ‘progetto Paese’ su una società tra l’altro redditizia, non escludo possano pensarci anche banche internazionali”. Secondo indiscrezioni, Borsa italiana potrebbe essere valutata tra i 3 e i 4 miliardi di euro. Per un nocciolo di azionisti che detenga il 25-30% non sarebbe un investimento monstre.  

E poi, oggi ci sono le condizioni tecniche per farlo. “La cornice è cambiata: allora, quando ero presidente, non c’erano le condizioni giuridiche per potere quotare una Borsa, oggi sì. Una Borsa può essere quotata, ormai da molti anni, e anche sul suo stesso mercato azionario”. Forse non si è mai fatto perché “non c’è mai stata consapevolezza del suo valore aggiunto per il Paese e così la governance e il controllo della sua compagine azionaria sono passati in secondo piano”. 

A differenza di Mts, per cui c’è stata “più attenzione, vista la delicatezza e l’importanza delle emissioni di Titoli del Tesoro”, la Borsa di Milano è stata un po’ una Cenerentola.  

“Con la Brexit, un riassetto non è più solo un’ambizione di pochi, ma un problema vero. Nella sua forma più estrema, ma non solo, la Brexit potrebbe far sorgere problemi enormi sull’efficienza della Borsa, sull’accesso da parte degli operatori internazionali, e quindi il problema è reale, non è teorico, non si può non affrontare. Le modalità sono solo da scegliere”.  

(di Vittoria Vimercati)