“La sanità è stata un po’ la cenerentola negli investimenti, è stata lasciata un po’ indietro”. Il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, ha invitato a fare “un po’ di mea culpa per i 10 anni precedenti” parlando oggi a Milano, durante l’inaugurazione del nuovo Padiglione di terapia intensiva dell’ospedale Sacco. “Nessuno si senta offeso – ha premesso – Del passato parlo senza peli sulla lingua, anche perché la mia priorità e non essere rieletto”, ha sorriso introducendo la lezione da trarre dall’emergenza coronavirus.
“Il Servizio sanitario nazionale ha la priorità di trattare chi sta male, ma anche di prevenire le malattie” e “questa epidemia ci ha insegnato una cosa importante”, ha sottolineato precisando di parlare “da medico”. Ora “potrei dire che sono stati fatti dei tagli, e qualcuno potrebbe rispondere che no, non sono stati fatti dei tagli, ma dei sottofinanziamenti. Poco importa per chi è in prima linea, poco importa per chi deve essere curato”, ha ammonito Sileri: “Quello che conta è che venga curato e che il personale sanitario abbia i mezzi per curarlo al meglio”.
“L’ospedale Sacco di Milano è stato il fronte di una nuova trincea contro un nemico invisibile che non ha colore, il virus”, ha detto ancora Sileri. Un’opera attraverso cui il Sacco, che con “un secolo” di vita alle spalle ha “radici storiche importanti”, conferma anche di “anticipare il futuro”, ha osservato Sileri. “Lo fa con le cure e con la formazione universitaria”.
“Per chi ci lavora, e parlo da medico – ha spiegato – l’ospedale è la casa dell’anima. Chiunque vi operi lo sente come casa, come famiglia. Viviamo per l’ospedale e lì troviamo tutto ciò che ci serve per vivere”, ha sottolineato il viceministro. “Sono venuto qui il 2 marzo”, ha ricordato, e anche dopo “parlando con i miei colleghi so come hanno vissuto. Non sono tornati a casa per giorni, hanno avuto una nuova vita, difficile e di impegno”.
E “la terapia intensiva, che a volte è anche luogo di morte, è soprattutto luogo di vita – ha tenuto a precisare il viceministro – perché lì davvero si strappa il malato dalla morte. Ho avuto colleghi anestesisti che hanno tolto il telefonino dalle mani di pazienti poco prima di intubarli, mentre i malati affidavano loro gli ultimi desideri da comunicare ai famigliari che non potevano vedere i propri cari. Grazie a tutto il personale che è stato al fronte”.