Il 3 giugno riapriranno o no i confini tra le regioni d’Italia? Secondo Walter Ricciardi, consulente del ministero della Salute, “è troppo presto per prendere una decisione. Un’apertura in queste condizioni esporrebbe a rischi. Bisognerebbe riaprire quando si è certi che i dati” dei contagi da Covid-19 “siano validi”. In un’intervista a ‘La Repubblica’ l’esperto frena, spiegando che “la politica può prendere decisioni se è certa dei dati. La scelta è giusta se si basa su indicatori giusti, ma in questo caso potrebbero non essere solidi”. E “se i numeri non sono certi, si finisce per fare scelte che possono non essere corrette”.  

Con le prime riaperture della fase 2 dell’emergenza coronavirus, quelle del 4 maggio, “finora è andata bene soprattutto grazie al comportamento degli italiani, che stanno evidentemente rispettando le buone regole per evitare i contagi – osserva Ricciardi – E’ importante però non abbassare la guardia proprio per non vanificare i sacrifici fatti. Quanto alle riaperture del 18 maggio, dobbiamo aspettare ancora qualche giorno”, anche perché “in alcune regioni del Nord si vede un po’ di movimento”.  

Ma allora perché il monitoraggio basato sui 21 indicatori anche questa settimana dà un rischio basso in tutte le grandi regioni? “Il sistema di indicatori è stato elaborato a livello centrale, giustamente – risponde il consulente del ministro Roberto Speranza – ma è alimentato da attività di diagnostica e dalle segnalazioni delle Regioni, quindi dipende dalle capacità di gestione dei sistemi regionali. Se sono efficaci ed efficienti, allora i dati sono attendibili. Se non lo sono, per una serie varia di ragioni, quei numeri non sono attendibili. E ci sono motivi seri per pensare che in alcune regioni questi dati adesso non lo siano”, mette in guardia Ricciardi che aggiunge: “Dalla modifica costituzionale del 2001, raramente è successo che il sistema di indicatori abbia funzionato in modo efficiente e tempestivo. In questo caso poi il flusso dei dati non è solo amministrativo, ma riguarda anche l’attività di laboratorio, le diagnosi. Quindi è ancora più complesso”.  

Quello che sta succedendo per esempio in Corea del Sud, per Ricciardi è la “dimostrazione di come il virus continuerà a circolare finché non sarà eliminato a livello globale. Ci vuole un’azione mondiale coordinata e anche interventi molto decisi a livello locale”, ammonisce. Seul ha richiuso tutto con 80 nuovi casi che però “dal punto di vista di questa malattia sono tanti – sottolinea l’esperto – Del resto questa pandemia è iniziata da un solo caso. Quando si lascia un focolaio epidemico diffondersi, si passa da 2 positivi a 2mila dopo 15-20 giorni. Se non si controllano i focolai, la malattia da un certo momento non si diffonde più in maniera incrementale ma esponenziale. Per questo vediamo interventi come quello della Corea oppure quello della Cina, che per pochi contagiati ha bloccato tutta una zona del Paese e fatto 7 milioni di tamponi in 7 giorni”.  

In Italia l’osservata speciale è la Lombardia, la regione più colpita da Covid-19: “Hanno 20mila positivi a domicilio – fa notare Ricciardi – senza contare gli asintomatici che non sanno di essere contagiati. Questi dati invitano alla massima prudenza. Poi il decisore è politico. La Corea ha chiuso con 70 casi e la Cina 40”. Quanto infine al passaporto immunitario chiesto da alcune Regioni, “dal punto di vista tecnico e scientifico non ci sono presupposti per realizzarlo. Tamponi ed esami sierologici non garantiscono, ad esempio, che chi sta incubando la malattia sia sempre rilevato”.