di Roberta Lanzara
La compressione di un diritto di libertà va circoscritta nel tempo. Pertanto guardando oltre la tempesta ‘Dpcm-Decreto’ “anche qualora si ritenesse che è sufficiente il fondamento del decreto legge per adottare il Dpcm, comunque il Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri avrebbe dovuto fissare, come tutte le ordinanze urgenti ed in considerazione del rischio e della grave limitazione di libertà, termini finali differenziati nelle singole misure di sospensione dei diritti di libertà. Invece non lo ha fatto”. A parlare con l’Adnkronos è Annibale Marini, presidente emerito della Corte Costituzionale, che rimarca: “E quindi questo è un profilo di difetto autonomo del Dpcm Conte. C’è un vizio nel fondamento costituzionale del Decreto della presidenza del consiglio dei ministri ed anche una irregolarità di contenuto”.
Non è sufficiente dunque neanche che lo stato di emergenza sia stato deliberato con un primo decreto legge il 31 gennaio, che ha fissato il termine al 30 luglio? “No. Anche se questi Dpcm, su cui c’è più di un dubbio di legittimità, trovassero fondamento nel decreto legge che ha deliberato l’emergenza, la fissazione del termine non andava definita rispetto al suo complesso ma alle singole limitazioni. Invece – rileva – sul Dpcm non sono indicati limiti temporali differenziati per le singole misure. Ed un solo termine da decreto al 30 luglio non è adeguato, non è proporzionato rispetto al complesso e alla gravità delle disposizioni”.
Dunque, guardando al di là della bufera e degli attacchi trasversali alla costituzionalità-incostituzionalità del Dpcm, il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri è incostituzionale? “Sì – risponde Marini – volendo salvarne la legittimità, è incostituzionale lì dove non prevede un termine. Contiene dunque un vizio sanabile, perché basta stabilire la ‘scadenza’. Ciò non toglie però che dal mio punto di vista il Dpcm non può incidere sui diritti di libertà. Ne è stato fatto un uso quantomeno di dubbia costituzionalità, ‘fuori sistema’, il che ha alterato completamente l’assetto di tutti gli organi istituzionali. Peraltro – prosegue – anche la Cartabia nella sua relazione ha parlato di collaborazione istituzionale. E il Dpcm è un atto che la stravolge perchè finisce per esautorare tutti gli organi che andrebbero coinvolti nella disciplina di emergenza. Diversamente da ‘decreto legge’ e ‘legge di conversione’, è un atto in cui infatti manca il momento collaborativo, mentre sia nel procedimento ‘decreto legge’ che in quello ‘legge di conversione’ sono coinvolti tutti: Governo, Presidente della Repubblica e Parlamento”.
Una collaborazione istituzionale che va gestita anche attraverso il coinvolgimento degli enti territoriali? “Certo, a tutti i livelli. Ma mi pare che non sempre sia stato fatto. Se il Governo si vuole sostituire agli enti territoriali – spiega Marini – deve seguire il procedimento previsto dall’articolo 120 della Costituzione, cioè il così detto ‘potere sostitutivo’, che prevede il rispetto del principio di leale collaborazione. Il nostro Stato ha carattere regionale e riconosce diverse competenze, anche legislative, alle Regioni in materia che vengono in rilievo nella odierna situazione emergenziale: mi riferisco alla tutela della salute e alla protezione civile”.
E’ il caso di differenziare il riavvio del Paese? “Non c’è dubbio. Se ci sono zone che in questo momento hanno una situazione meno critica è chiaro che le misure devono essere proporzionate e diversificate rispetto alla situazione di gravità presente nel territorio, ipotesi già ammessa dall’articolo 16 della Costituzione e cosa che è accaduta anche in tutto il resto del mondo. Quindi costituzionalmente una differenziazione per territori è non solo possibile ma anche auspicabile”.
“Chiaramente – rimarca il presidente emerito della Consulta – ciò non significa che non vi debba essere un coordinamento e una leale collaborazione tra i diversi livelli territoriali di governo e, a maggior ragione, non esclude che il Governo, ma non il solo Presidente del Consiglio, possa e debba esercitare i poteri sostitutivi, ai sensi dell’art. 120, comma 2, della Costituzione, proprio al fine di prevenire, come stabilisce la stessa disposizione costituzionale, ‘un pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica’”.
“Ritengo che il Presidente della Repubblica non abbia voluto in questa fase e in un’ottica di collaborazione istituzionale introdurre o provocare situazioni di frizione, che avrebbero potuto disorientare la cittadinanza. Ovviamente, con il passare del tempo e il graduale ritorno alla normalità non può che auspicarsi un controllo più penetrante del Capo dello Stato sull’osservanza delle norme costituzionali perché bisogna sempre ricordarsi che le derive autoritarie nascono sempre da, vere o presunte, situazioni emergenziali”.
Quanto alla App Immuni, “sul punto ancora non sono molti chiari l’uso e gli effetti di questa applicazione, ma è evidente a tutti che, a prescindere dal carattere volontario dell’uso, si pone un problema macroscopico di tutela della riservatezza, soprattutto quando la mappatura degli spostamenti possa andare ad incidere sulla sfera giuridica di altri soggetti, che non hanno espresso alcun consenso o che siano addirittura inconsapevoli”.
In tema di scuola e università, “il Dpcm in materia di esami non è chiaro. Non si comprendono alcune differenziazioni. C’è incoerenza commenta Marini – Per la maturità, ad esempio, si impongono gli esami in presenza, mentre per quelli universitari sembra rimettere la scelta agli atenei consentendo anche diverse forme di valutazione a distanza. Ma l’esame universitario non è meno importante di quello di maturità”.
Per il Baccalauréat francese hanno optato per l’elaborazione di un voto estrapolato dal curriculum scolastico: “Auspico – risponde l’ex presidente della Consulta – che si definisca una linea più coerente e puntuale sullo svolgimento degli esami di stato e universitari. Tanto più che nel caso della maturità, c’è tutto un cv scolastico che il docente può valutare, in quello universitario no, quindi le garanzie necessarie dovrebbero essere maggiori per l’esame universitario piuttosto che per quello scolastico. Non voglio affermare l’incostituzionalità di queste misure – precisa – ma la cittadinanza è spaesata rispetto a una regolamentazione alluvionale ed estemporanea. I casi scuola e università sono emblematici”.