In previsione della riapertura di fabbriche e uffici il 4 maggio, ecco i “risultati di uno studio che ha analizzato una catena di contagi avvenuta in un call center coreano all’inizio di marzo. Conoscere questi esempi è fondamentale per capire come ripartire al meglio, provando a minimizzare i rischi”, sottolineano il virologo Roberto Burioni e il microbiologo clinico Nicasio Mancini, su ‘Medical Facts’.  

Innanzitutto, dall’analisi coreana emerge l’assoluta necessità delle “dovute precauzioni: distanza, mascherina e igiene delle mani e non distanza o mascherina o igiene delle mani. Altrimenti, gli uffici possono essere bombe infettive pronte a esplodere”. Si può trarre poi una “lezione” generale da “tenere presente per la riapertura: dobbiamo essere pronti a individuare immediatamente i focolai, dobbiamo essere capaci di testare moltissime persone in brevissimo tempo, dobbiamo essere preparati a tracciare (con applicazione o senza) tutti i contatti per poi isolarli in maniera efficace (l’isolamento in casa non lo è). Insomma, bisogna imparare dalle esperienze degli altri e anche dai loro errori. Farsi sorprendere di nuovo impreparati sarebbe una cosa imperdonabile, con gravi conseguenze per la salute pubblica”, affermano i due virologi.  

“Il call center si trova in un palazzo di 19 piani, tra il settimo e l’undicesimo. Fino a questo piano ci sono uffici, a quelli superiori appartamenti. L’allarme scatta quando viene diagnosticato un caso di Covid-19 in una persona che lavorava in questo edificio l’8 marzo, e il giorno dopo, istantaneamente – evidenziano Burioni e Mancini, illustrando lo studio – le autorità si sono attivate chiudendolo. Sono stati inoltre identificati non solo i 922 individui che lavoravano nei vari uffici e i 203 residenti degli appartamenti, ma, tramite un sistema di localizzazione con telefoni cellulari, anche tutti quelli che avevano visitato l’edificio per più di cinque minuti nelle due settimane precedenti”. Insomma, “alla fine della storia le persone ‘identificate’ sono state 1.145, e ben 1.143 sono state testate. Saremo capaci noi – riflettono – di fare lo stesso dal 5 maggio? Speriamo di sì”. 

Per i due esperti, “la cosa interessante è che il contagio è stato massiccio (97 casi), ma incredibilmente la quasi totalità di questi (94 su 97) lavoravano all’undicesimo piano, ovvero nel call center. Quasi la metà (43,5%) degli impiegati su quel piano sono stati infettati e quasi esclusivamente nella stessa area dell’ufficio”. Questo porta a “diverse riflessioni: la prima è che in un luogo chiuso il contagio può essere spaventosamente efficiente. L’immagine dell’area più colpita nella piantina dell’ufficio è davvero agghiacciante”.  

“Sarebbe interessante – proseguono Burioni e Mancini – sapere se c’erano divisori tra le postazioni, se il condizionamento delle due stanze era in comune, se gli impiegati si spostavano frequentemente da un lato all’altro (per esempio le donne dovevano recarsi in bagno nell’altra metà, guardando la piantina), ma questi dati non sono disponibili”.  

Si può però concludere che “se non si prendono le dovute precauzioni (distanza, mascherina e igiene delle mani e non distanza o mascherina o igiene delle mani), gli uffici possono essere bombe infettive pronte a esplodere. La seconda è che, al di fuori dell’undicesimo piano, solo altre tre persone si sono infettate. Però tutti e i 1.145 hanno usato gli stessi ascensori, gli stessi spazi pubblici. Insomma, sembra che ci voglia un contatto prolungato per infettarsi. Però chiaramente queste sono singole osservazioni e non possiamo trarre conclusioni definitive o troppo ottimistiche”.  

Raccomandano, dunque, Burioni e Mancini: “La guardia deve restare molto alta, specialmente in questo primo periodo. Ultima considerazione: su 225 familiari dei contagiati nell’ufficio 34 si sono infettati, con un tasso di attacco secondario superiore al 16%. È chiara l’importanza dell’isolamento vista il rischio di contagio all’interno delle abitazioni”.