Sono poche le persone colpite da coronavirus nella Capitale rispetto alla platea di chi potrebbe essere ancora contagiato. E, tra chi ha contratto l’infezione, solo una percentuale limitata ha guadagnato la piena immunità. E’ quanto emerge da un piccolo studio condotto da Altamedica Medical Center di Roma, che ha eseguito un’analisi epidemiologica su 617 soggetti del territorio romano (303 uomini e 314 donne di diverse classi di età) sottoposti a test sierologici per la ricerca di anticorpi contro il Covid-19 per verificare l’esposizione all’infezione e lo stato di immunità completa. Tutti i soggetti hanno reso completo consenso informato e sono stati sottoposti a prelievo venoso a domicilio. Nessuno era in condizioni critiche. 

Lo studio, partito nel mese di marzo, ha esaminato il campione con metodologia multipla. Nel dettaglio è emerso che solo il 5% dei soggetti risulta essere stato infettato, mentre il 95% è potenzialmente ancora a rischio. L’infezione è stata riscontrata più spesso in individui di sesso maschile (60%) che femminile (40%). In più del 50% dei soggetti che hanno contratto il virus è stata rilevata assenza di sintomi (70% uomini e 30% donne). Tra i sintomi maggiormente segnalati nei soggetti con anticorpi positivi il più frequente è stata l’ipertermia (43%), seguita dalla perdita dell’olfatto (29%). Infine, solo in un caso (0,15%) si è riscontrata una piena immunità con presenza di sole Igg. 

“Si tratta del primo studio su popolazione sottoposta a screening anticorpale e, sebbene il campione raccolto sia ancora esiguo, si possono trarre importanti deduzioni che dovranno poi essere confermate in casistiche più ampie – spiega Claudio Giorlandino, ginecologo e direttore sanitario Gruppo Altamedica e direttore generale dell’Italian College of Fetal Maternal Medicine -. Se infatti venisse confermata una percentuale dello 0,15% di soggetti portatori di immunità acquisita, ricercare adesso quello che impropriamente viene chiamato ‘patentino di immunità’ sembrerebbe destituito di ogni valore e utilità”.  

“Inoltre la scelta sanitaria di screenare tutta la popolazione italiana risulterebbe insensata per il fatto che, comunque, si dovrebbe proteggere dall’infezione la stragrande maggioranza della popolazione che non l’ha contratta. Le enormi risorse che si stanno impiegando per tali test potrebbero invece essere usate nella prevenzione e nel supporto sociale”, dice Giorlandino. 

“La ricerca segue uno studio pilota sulla analisi della sensibilità e specificità di test sierologici che, anche se già perfettamente validati a livello europeo e registrati presso il ministero della Salute, sono stati sottoposti a verifica per conoscere la reale affidabilità – prosegue il medico – In considerazione del fatto che nessun soggetto ha riferito di essere a conoscenza di aver avuto contatti con persone infette da meno di 15 giorni è lecito supporre che, nella maggioranza dei casi, i soggetti negativi non siano venuti a contatto con il virus, presupponendo che l’attività anticorpale si manifesti 15 giorni dopo l’nizio della infezione. Inoltre – ha concluso Giorlandino – in circa il 90% dei soggetti l’infezione è occorsa negli ultimi 2 mesi, solo in un caso è stata riscontrata un’infezione risalente a oltre 80 giorni prima, saremmo nella seconda metà di gennaio, mentre in due casi si stima un’infezione occorsa da non oltre 15 giorni”.